I terroristi islamici cresciuti in Italia cominciano a preoccupare

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Agosto 2014 - 10:11 OLTRE 6 MESI FA
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Isis

ROMA – I terroristi islamici cresciuti in Italia cominciano a preoccupare. Un quadro del pericolo che molti benpensanti non hanno voluto vedere negli anni passati, girando la testa dall’altra parte quando qualcuno denunciava l’odio predicato nelle moschee in Italia, è tracciato su Repubblica da due articoli, rispettivamente di Simone Bianchin, Alberto Custodero e di Giulino Foschini, Fabio Tonacci.

Per Repubblica è un significativo cambio di impostazione, dopo la campagna condotta da Repubblica per il sequestro di un Imam predicatore ricercato dalla Cia e consegnato all’Egitto.

Scrivono Simone Bianchin e Alberto Custodero:

Antiterrorismo in allarme dopo che s’è diffusa la notizia che un leader islamico che sta inneggiando all’esecuzione del reporter americano James Foley è stato a Cremona. In transito. È l’imam bosniaco Bilal Bosnic, wahabita, uno degli esponenti dell’Islam più integralista e considerato membro di spicco dell’Is. Proprio in queste ore sta lanciando in rete appelli ai giovani musulmani per unirsi al califfato attraverso un video su Youtube pubblicato dall’utente “Studio Islam Italia” dal titolo “Adhan Bilal Bosnic Masjid Cremona Italia”.

Tradotto, “la chiamata alla preghiera di Bilal Bosnic a Cremona, in Italia”. Sul suo profilo Facebook, dove si contano 1.500 click “mi piace”, da pochi giorni ha cambiato la foto pubblicando un’immagine della bandiera nera del califfato, sempre posta alle sue spalle anche durante i suoi sermoni. Lancia un appello nel quale invita «i giovani e tutti i musulmani a sostenere il Califfo», mentre un mese fa aveva postato un sermone pronunciato a Mosul da Abu Bakr al Baghdadi, l’uomo che autoproclamatosi califfo si è messo alla guida dell’Is.

Sotto, aveva aggiunto il suo personale commento: «Quest’uomo verrà ricordato per secoli. Allah continui a ricompensarlo per i suoi meriti». Bilal Bosnic, considerato un imam itinerante, si trova adesso in Bosnia dopo che ha vissuto nel nostro Paese predicando il jihad tra Cremona (dove era stato invitato al centro culturale islamico), Bergamo e Pordenone. Per questo suo trascorso in Italia dal Viminale è arrivata l’allerta alla questura e al tribunale di Cremona per rafforzare il controllo su eventuali obiettivi a rischio di attentati terroristici. La Digos della città lombarda, che si trovò già al centro di una importante indagine dopo le minacce al Duomo, undici anni fa, si sta preparando a potenziare il livello di guardia: oltre a seguire i movimenti e contatti di diverse persone presenti sul territorio, sono già stati rafforzati i presidi delle forze dell’ordine anche in una decina di centri della provincia cremonese intorno ai punti sensibili: poli industriali, vie di comunicazione, stazioni, i principali luoghi di aggregazione, le centrali elettriche, depositi di combustibili e gas.

È allarme anche a Londra dov’è in arrivo una stretta in materia di immigrazione. «Questa è una lotta generazionale, durerà decenni: ci dobbiamo dotare degli strumenti adatti», dice il ministro dell’Interno Theresa May che annuncia nuove leggi contro l’estremisimo. Il governo pensa a restrizioni per comportamento «antisociale», la messa fuori legge dei «predicatori d’odio», il coinvolgimento di ogni ente pubblico nella lotta al radicalismo ovunque si presenti, dalle scuole alle carceri. L’intelligence britannica, intanto, sta dando la caccia a “John il carceriere”, che nel video appare accanto a Foley. Secondo indiscrezioni del Sunday Times, l’intelligence lo avrebbe identificato. Il sospetto, come ha scritto il quotidiano The Sun , è un rapper 23enne di origini egiziane, Abdel-Majed Abdel Bary.

Scrivono Giuliano Foschini e Fabio Tonacci:

Scriveva: «Ringraziando Dio immigrerò nei campi del jihad per trionfare la religione di Dio, per difendere il paese dei musulmani e proteggere i luoghi sacri dei musulmani e sarò un aiuto per i fratelli mujaheddin». Eppure Raphael Gendron, ingegnere belga considerato da tutte le polizie uno degli intellettuali della cellula islamica in Europa, per la giustizia italiana non era un terrorista. Arrestato a Bari con i complimenti dell’allora ministro degli Interni Maroni, è stato poi assolto dalla Corte d’Appello. E così uscito dal carcere è tornato in Siria dove, pochi mesi dopo, è morto combattendo mentre con il vessillo di Al Qaeda e dell’Is fronteggiava l’esercito di Damasco.

Ma la storia di Gendron, il terrorista che per l’Italia non esisteva, non è un caso isolato. È la stessa di altri terroristi passati indenni dalla giustizia italiana e tornati poi a combattere la jihad. Un caso che ha fatto lanciare l’allarme ai servizi stranieri che ricordando il caso di Gendron, morto un anno fa, nei mesi scorsi hanno chiesto all’Italia di tenere l’allerta massima. «Il problema è serissimo perché — spiega una fonte altamente qualificata dell’antiterrorismo — il nostro codice punisce gli arruolatori della jihad ma non gli arruolati, e punisce chi partecipa a una associazione terroristica. Ma mentre in altri paesi basta aver combattuto in zone tipo la Siria o l’Iraq per avere la prova e sostenere un processo, in Italia c’è bisogno del presupposto che il soggetto combattente partecipi al gruppo terroristico. Non è che chi va a combattere con l’Isis non fa reato, il problema è che da noi è abbastanza difficile provarlo e dimostrarlo».
Gendron fu arrestato nel 2009. Inchiodato dalla perquisizione all’interno del suo camper mentre sbarcava in porto: una pen drive con i testi dei predicatori di Al Qaeda, il testamento di Hisham Abou Nizal, nome di combattimento del ventiquattrenne Beyayo Hisham pronto al martirio e una serie di riferimenti ad attacchi terroristici. Il suo nome era però da anni nei database di tutte le polizie europee proprio per la sua pericolosità. Ma a inchiodarlo (e poi a scagionarlo in appello, dopo la condanna in primo grado, perché furono messe in dubbio le traduzioni) furono le conversazioni intercettate in cella con il suo compagno di viaggio, l’imam Bassam Ayachi. Parlavano secondo la Procura di un attentato all’aeroporto di Parigi. «Non preoccuparti — diceva Gendron — c’è l’altro lì, dove sono stato, lui ci ha offerto per una tonnellata di granate a cinque euro l’una… «.

Ma quella di Gendron è solo una delle storie. C’è per esempio Abu Dujana, detenuto e torturato per otto anni nel carcere di Guantanamo dove lo chiamavano “Nasr l’Italiano”. In realtà era tunisino, ma aveva vissuto per anni a Bologna. Era arrivato nel 1994 e l’esito della sua vicenda giudiziaria, oggi che l’uomo è diventato uno dei capi di una feroce milizia islamista infiltrata nella guerra civile della Libia, mette in imbarazzo, e non poco, l’Italia. Riad “Abu Dujana” Nasri infatti era finito nel sistema carcerario italiano. Arrestato anni fa con l’accusa di aver fatto parte tra il 1997 e il 2001 di una cellula legata al gruppo salafita per la predicazione e il combattimento: aveva base a Milano e il suo compito era reclutare “carne fresca” da mandare al macello in medio oriente. In primo grado era stato condannato dal tribunale di Milano a sei anni per terrorismo internazionale, per poi essere assolto in Appello. Appena scarcerato è rientrato in Tunisi dove fonti dell’intelligence lo hanno dato prima nell’ala militare di Ansar al Sharia, mentre poi è stato avvistato in Libia. Un destino non molto lontano da quella di Adel ben Mabrouk, anche lui tunisino (…)