Il Fatto: “L’ex ministro Severino ora lavora per Ilva”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Maggio 2014 - 11:54 OLTRE 6 MESI FA
Il Fatto: "L’ex ministro Severino ora lavora per Ilva"

Paola Severino (LaPresse)

ROMA – Che ci fa l’ex ministro della Giustizia, Paola Severino, al tavolo tecnico di Palazzo Chigi per il piano industriale dell’Ilva di Taranto?

È il legale dei Riva secondo le prime indiscrezioni che generano immediatamente lo sdegno di Angelo Bonelli, portavoce nazionale dei Verdi, che bolla la vicenda come “una cosa gravissima” e aggiunge che “questa è la prova provata che gli interessi dei Riva sono stati ampiamente rappresentati nel governo Monti”.

Scrive Francesco Casula sul Fatto Quotidiano:

Pochi minuti dopo, però, arriva la smentita: l’avvocato Paola Severino è il legale dell’Ilva commissariata. A quel tavolo, quindi, l’ex guardasigilli è seduta in qualità di consulente del commissario straordinario Enrico Bondi e del suo vice Edo Ronchi insieme al sottosegretario Graziano Delrio, ai ministri dello Sviluppo e dell’Ambiente, Federica Guidi e Gianluca Galletti, che al termine dell’incontro si è limitato a dire: “La buona notizia è che c’è il Piano industriale”. Ciò che manca, secondo quanto si è manifestato in questi mesi, sono i soldi per realizzarlo. Non un dettaglio trascurabile insomma. Ha partecipato, insomma, anche Paola Severino all’esame del piano industriale per il risanamento della fabbrica di Taranto , che dopo l’ok della Corte dei conti al piano ambientale, sarà pubblicato nelle prossime ore sulla Gazzetta Ufficiale. La sua presenza è stata sufficiente per animare vecchie polemiche. Perché Paola Severino è stata il Guardasigilli che ha firmato il primo decreto salva-Ilva: quello, cioè, impugnato dalla procura di Taranto dinanzi alla Corte costituzionale che, però, lo ha dichiarato legittimo. Per i magistrati e i cittadini di Taranto, infatti, quel provvedimento concedendo alla fabbrica un’impunità di 36 mesi, ha di fatto permesso all’Ilva di continuare a “inquinare per legge” in attesa di realizzare l’ammodernamento imposto dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dall’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini.

Prima della chiamata di Mario Monti, infatti, l’ex ministro è stata il difensore di Mario Lupo, presidente dell’Ilva dal 1998 al 1991 e per il quale il Pubblico ministero Raffaele Graziano qualche mese fa ha chiesto la condanna a sette anni di carcere per omicidio colposo e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro nel processo per la morte di alcuni operai dello stabilimento colpiti da mesotelioma pleurico dopo l’esposizione all’amianto nella fabbrica di Taranto.
Alla Gazzetta del Mezzogiorno che diffuse la notizia, l’allora Guardasigilli replicò dicendo che “prima di diventare ministro non ho difeso né l’Ilva né alcun suo dirigente” ma che aveva difeso il manager in una causa che non aveva “nulla a che vedere con l’attuale vicenda giudiziaria dell’Ilva”. In realtà le due storie non sono poi così lontane dato che le maxi-perizie disposte dal gip Patrizia Todisco nell’inchiesta “ambiente svenduto” – quelle che hanno portato al sequestro degli impianti nel luglio 2012 – sono state acquisite anche nel processo che dovrà stabilire le colpe dei vertici della fabbrica dal 1978 a oggi e sul quale, il 23 maggio, arriverà la sentenza.