Jobs Act, il sondaggio di Nando Pagnoncelli: “Percepito come svantaggioso”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Novembre 2014 - 12:28 OLTRE 6 MESI FA
Jobs Act, il sondaggio di Nando Pagnoncelli

Jobs Act, il sondaggio di Nando Pagnoncelli

ROMA – Jobs Act? Il 9% la conosce in dettaglio e 36% nei suoi aspetti principali. Ma un intervistato su due non crede che il Jobs act favorirà l’aumento dell’occupazione e la ripresa economica, mentre il 18% si dichiara fiducioso.

“I pareri sui possibili effetti della riforma del lavoro sono abbastanza variegati – scrive Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera – Spicca l’idea che saranno avvantaggiate le imprese ma non i lavoratori: è di questo avviso il 28% degli italiani, con punte decisamente più elevate tra i lavoratori (impiegati, insegnanti, operai e lavoratori esecutivi), in particolare quelli del settore privato, e tra i disoccupati; il 20% è fortemente critico e ritiene che saranno svantaggiati tutti, imprese e lavoratori”.

L’articolo di Nando Pagnoncelli:

Non stupisce dunque che prevalgano gli atteggiamenti difensivi, anche nel caso di licenziamento per motivi disciplinari: il 63 per cento si dichiara favorevole al mantenimento dell’obbligo di reintegro in assenza di giusta causa (in particolare gli operai, i dipendenti del settore pubblico, gli elettori del Movimento 5 Stelle e del Partito democratico) mentre il 26% concorda con l’indennizzo economico.
In definitiva, sebbene prevalga il pessimismo sui suoi effetti, il 57% degli italiani prevede che la riforma del lavoro andrà in porto nei prossimi giorni, mentre il 27% pensa che si arenerà. Le reazioni dell’opinione pubblica al Jobs act suggeriscono alcune considerazioni.
La prima riguarda la comunicazione, che risulta cruciale soprattutto in presenza di un modesto livello di informazione dei cittadini. Nonostante le sue indiscusse capacità comunicative, Renzi con il Jobs act non sembra aver centrato l’obiettivo: infatti, il messaggio prevalente percepito dai cittadini nell’acceso dibattito di queste settimane è quello della perdita della sicurezza del posto di lavoro, complice un contesto economico estremamente critico. Inoltre non si è colto il nesso tra la riduzione delle tutele, che pure riguardano una parte limitata dei lavoratori interessati dall’articolo 18, e la maggiore facilità di ingresso nel mondo del lavoro. Infine è mancata la rassicurazione di una rete di protezione compensativa, in termini di sussidi e di possibilità di un rapido reinserimento, nel caso di perdita del posto di lavoro. Insomma, l’incertezza e la paura sembrano prevalere sulla fiducia che le opportunità occupazionali aumentino e il mercato del lavoro possa diventare più dinamico.
La seconda riguarda il calo di consenso nei confronti del governo e del premier registrato nelle ultime settimane, probabilmente da attribuire anche ai giudizi critici sulla riforma del lavoro. Oggi assistiamo a una minore popolarità del governo che si aggiunge alla crescente perdita di fiducia nei sindacati, screditati sia dal basso (per la crisi di rappresentanza) che dall’alto (per il conflitto con Renzi). La svalutazione dei corpi intermedi pone un problema di mediazione sociale perché si stanno riducendo le possibilità di rappresentare il dissenso e di negoziare soluzioni e si apre la strada a forme di protesta «fai da te».
Da ultimo il rapporto tra i cittadini e le riforme del lavoro. Quelle adottate negli ultimi anni (legge Biagi, riforma Fornero) sono risultate molto impopolari, peraltro non diversamente dalla maggior parte delle riforme attuate nel nostro Paese. È noto che la stragrande maggioranza degli italiani rivendica riforme, ma si tratta sempre delle riforme che non li riguardano in prima persona, sono quelle degli altri. Non a caso anche il Jobs act viene maggiormente apprezzato da anziani e pensionati, cioè dai cittadini che non sono toccati direttamente dalla questione occupazionale.