L’Aquila. Da casa a villa di lusso con soldi ricostruzione

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Aprile 2016 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
L'Aquila. Da casa a villa di lusso con soldi ricostruzione

L’Aquila. Da casa a villa di lusso con soldi ricostruzione (Foto archivio Ansa)

L’AQUILA – Hanno usato i soldi della ricostruzione stanziati dopo il terremoto a L’Aquila per trasformare la loro casa da 80mila euro in un villino di lusso. Una sistemazione del valore di 330mila euro grazie ai soldi che lo Stato aveva stanziato per aiutare i terremotati del 2009 a L’Aquila a riottenere una casa.

Giustino Parisse su Il Centro de L’Aquila scrive che questo non è l’unico caso in cui una casa, grazie ai soldi della ricostruzione per il terremoto de L’Aquila, acquista un valore superiore a quello precedente:

“SPRECHI E TAGLI. Insomma per compensare gli “sprechi” si fanno i “tagli” e a pagare sono sempre quelli che non hanno santi in paradiso. Ma la ricostruzione dell’Aquila, se parliamo di soldi dati a vanvera, ha una bella tradizione. Potremmo citare le case A dove i famosi 10.000 euro a testa sono serviti a dare al massimo una tinteggiata, o le case B ed E della periferia con cifre da capogiro (della serie tanti soldi a chi ha avuto pochi danni), e poi i palazzi vincolati dell’Aquila con fondi aggiuntivi per restaurare le opere d’arte contenute all’interno e su cui è meglio stendere un velo pietoso (adesso c’è anche chi vorrebbe soldi pubblici per rifare il look alle pietre che spuntano dai muri degli edifici).

Ma la madre di tutti gli sprechi ha un nome preciso: ordinanza della presidenza del consiglio dei ministri (Opcm) 3832 del dicembre 2009. Con quell’Opcm si stabilivano le regole per ottenere la cosiddetta “abitazione equivalente”. Per capirci: io ho una casa che è crollata per almeno il 25 per cento, decido di non aspettare la ricostruzione e chiedo di avere una abitazione equivalente. Il Comune mi dà i soldi e io compro una nuova abitazione dove meglio credo, anche a Milano. Questa possibilità esiste ancora oggi (fatti i conti sarebbero quasi 600 i proprietari che hanno optato per l’abitazione equivalente).

L’ORDINANZA. Con l’Opcm 3832, però, l’operazione era stata architettata in modo tale che ci sono stati degli eccessi evidenti. Se ne parlò già qualche anno fa, ma la questione venne buttata in caciara (politica) e se ne smarrì il senso vero. Oggi raccontiamo una storia che si sviluppa intorno a quell’Opcm (pare siano stati almeno 40 i cittadini che ne hanno approfittato, legittimamente). Nel 2004 una persona acquista (con riscatto) da un ente pubblico un appartamento costruito negli anni Sessanta del secolo scorso e lo paga circa 80.000 euro.

Per avere soldi cash stipula un mutuo con una banca. Tutto bene fino al 6 aprile del 2009. L’appartamento subisce gravi danni a causa del sisma. Il proprietario, in base all’Opcm, chiede di avere l’abitazione equivalente. L’appartamento danneggiato viene “periziato” e se ne stabilisce il valore: circa 120.000 euro. È a questo punto che appare Fintecna, la società controllata dal ministero del Tesoro, la quale acquista la struttura semi crollata: consegna più di 60.000 euro a una banca per estinguere il mutuo contratto nel 2004 dal proprietario e il resto viene dato direttamente al proprietario il quale senza colpo ferire non ha più il mutuo da pagare e in più si mette in tasca dei soldi. Provvisoriamente gli viene assegnato un alloggio del piano Case dove nei primi tempi non si pagavano bollette di nessun genere. Fin qui tutto liscio.

EQUIVALENTE. Si passa poi alla fase successiva. Il cittadino chiede al Comune di avere una cifra congrua per comprarsi l’abitazione equivalente. È giusto, l’Opcm lo prevede. Per una casa che da perizia valeva circa 120.000 euro viene riconosciuto un contributo di circa 330.000 euro. Piccolo mistero: a quei 330.000 euro dovevano essere tolti o no i 120.000 euro pagati da Fintecna? L’Opcm indicava la necessità di una compensazione. Ma in questo caso non ve n’è traccia.

Infatti, con i 330.000 euro viene acquistata un’abitazione definita – appunto – equivalente (ma equivalente a cosa?) che in realtà è un villino (mentre la prima era un semplice appartamento condominiale). Ma non basta: nell’atto notarile gli acquirenti chiedono al costruttore-venditore delle migliorie: sistemare il giardino, pavimentare un’area esterna, ritinteggiare tutto. Il venditore accetta e l’affare è fatto. Il ranocchio (la casa da 80.000 euro) grazie al bacio dello Stato, diventa principe (villino da 330.000 euro costruito nel 2007). E tutti vissero felici e contenti. Norme rispettate. Tutto lecito.

È finita? No, perché Fintecna ora è proprietaria di quell’appartamento semicrollato. Che farà? Probabile che chieda un indennizzo al Comune dell’Aquila per ricostruirlo. Quanti euro? Boh. Ma siamo sempre nell’ordine delle centinaia di migliaia. Lo Stato quindi ha pagato (inizialmente sotto le vesti di Fintecna) 120.000 euro per comprare la casa semicrollata, poi ha tirato fuori 330.000 per l’abitazione equivalente e infine dovrà sborsare altre centinaia di migliaia di euro per la ricostruzione dell’originale. Quella casetta di 80.000 euro comprata nel 2004 ha mosso un “giro d’affari” di oltre 600.000 euro.

LA DOMANDA. Questa vicenda, che risale a un periodo compreso fra il 2010 e 2011 (l’Opcm fu in qualche caso “stoppata” quando ci si accorse che era insostenibile) apre interrogativi che sono molto attuali: sia all’Aquila che nelle frazioni si stanno ricostruendo anche quelle case che sono state cedute al Comune in cambio di altre abitazioni. Quindi: il Comune paga la casa equivalente, poi dà un contributo all’aggregato per ristrutturare la parte che ha ricevuto in proprietà da chi ha scelto l’equivalente, e poi? Quando quelle case diventate pubbliche saranno ricostruite, in tutto o in parte, che fine faranno? Verranno vendute? E i soldi andranno al Comune o saranno restituiti allo Stato? Ai posteri l’ardua sentenza”.