Letta lascia, tocca a Renzi; Eutanasia, sì per minori in Belgio: rassegna del 14 febbraio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Febbraio 2014 - 08:29 OLTRE 6 MESI FA

Letta lascia, tocca a Renzi; Eutanasia, sì per minori in Belgio: rassegna del 14 febbraioROMA – Renzi trascina il Pd e licenzia Letta “Via dalla palude, governo fino al 2018 da oggi correrò un rischio pazzesco”. La Repubblica: “Il leader: devo rischiare, farò uscire l’Italia dalla palude. L’ex premier: la palude è colpa tua “Ho una smisurata ambizione per l’Italia”. E il premier si dimette.” L’articolo a firma di Goffredo De Marchis:

Via dalla palude, ha detto nel suo discorso. Quindi Matteo Renzi pensa già alle prossime ore. La direzione del Pd ha appena licenziato Enrico Letta e indicato il suo successore: lui. «Che si fa? Mica posso andare al Quirinale per le consultazioni? Lì si parla di me, non è il caso. Forse manderemo solo i due capigruppo». Passano nella sua stanza Piero Fassino e Dario Franceschini. «Chiediamo a loro, ai veterani», fa il sindaco rivolto ai fedelissimi, tutti digiunidel protocollo istituzionale.

ALLA fine andrà, questo prevede il cerimoniale. «Ce lo dirà il Quirinale, comunque». Renzi non ha molta voglia di scherzare. È emozionato, concentrato, anche provato. La sua è stata una lunga corsa compiuta a passo di carica. Dalle primarie perse nel 2012 al profilo di Palazzo Chigi che appare all’orizzonte. Il traguardo è vicino e quando saluta tutti per tornare a Firenze ha un evidente calo di tensione. Ha vinto: Letta ha diffuso una nota annunciando le dimissioni per oggi. «È andata bene, ma adesso viene il difficile».

L’intervento davanti ai dirigenti del Pd è asciutto. Senza fuochi d’artificio, senza retorica. Una sola concessione al personaggio: a Largo del Nazareno arriva con la camicia celeste ma ricompare sul podio della direzione con la solita camicia bianca. Si è cambiato un attimo prima in bagno. È il suo tratto distintivo, è il richiamo al mito Tony Blair, magari un portafortuna. Per reggere il peso di un passo molto coraggioso persino spregiudicato, ossia sfiduciare il premier del proprio partito per prenderne il posto, si affida al documento da votare alla fine. Lo legge subito allora, saltando i preamboli. Va sul sicuro, sa che avrà la quasi unanimità. È stato limato fino all’ultimo minuto con i membri della minoranza, non sono ammessi scherzetti. «La direzione del Partito Democratico esaminata la situazione politica e i recenti sviluppi, ringrazia il presidente del Consiglio Enrico Letta per il notevole lavoro svolto alla guida del governo, esecutivo di servizio, nato in un momento delicato dal punto di vista politico, economico e sociale, e per il significativo apporto dato, in particolar modo per il raggiungimento degli obiettivi europei ». È il benservito, nemmeno troppo infiocchettato. «Rileva anche l’urgenza — continua a leggere — di un nuovo esecutivo che abbia la forza politica peraffrontare i problemi del Paese con un orizzonte di legislatura, da condividere con la attuale coalizione di governo e con un programma aperto alle istanze rappresentate dalle forze sociali ed economiche».

Finish, game over, per usare alcune espressioni renziane. «Certo che è un rischio, è un rischio pazzesco. Ma un politico che non rischia non è un politico », è la frase che ripete ai prudenti da 48 ore a questa parte. La dice anche nella riunione trasmessa in streaming: «Bisogna mettersi in gioco, rischiare e assumersi responsabilità. Si dice che si comincia a crescere quando fai anche le cose che non ti piacciono ». In questo caso, arrivare alla guida dell’Italiapassando dal voto del Parlamento ma non dalle urne. Questo non gli piace. Per chi come lui ha fatto primarie, elezioni amministrative alla Provincia e al Comune, ha vinto e ha perso, non è facile sporcare l’immagine dell’uomo che cerca il consenso. «Era meglio votare? Sì, era meglio votare, ma non ci sono le condizioni». Per una legge elettorale che oggi è un proporzionale puro, perché Giorgio Napolitano ha detto che le urne adesso sono «una sciocchezza». Punto.

Il premier Letta, un addio amaro “I farisei mi hanno sfiduciato ma non accetterò strapuntini”. L’articolo a firma di Francesco Bei e Alberto D’Argenio:

IO RESTO un uomo delle istituzioni — ha ripetuto a chi gli offriva posti nel futuro governo per convincerlo a lasciare prima della direzione del Pd — e non sarebbe dignitoso accettare un qualche strapuntino». Ma resta la delusione di doversi dimettere proprio oggi, giorno in cui l’Istat certificherà la fine della crisi dopo dieci mesi di governo vissuto nei marosi di una coalizione segnata prima da Berlusconi e poi dal nuovo clima politico che si è creato dopo le primarie democratiche. «È stato un lavoro faticoso, sarebbe stato bello festeggiare il dato Istat in modo diverso», lo sfogo del premier che scherzando con i collaboratori ora pensa di prendersi una lunga vacanza con la famiglia.

Alle sette e mezza del mattino il premier ormai uscente è già a Palazzo Chigi. Al portone si presentano il portavoce della segreteria di Renzi Lorenzo Guerini e i capigruppo Zanda e Speranza. Letta li riceve in maniche di camicia in un salottino dell’appartamento presidenziale. I tre confermano che nella direzione del pomeriggio Renzi gli chiederà di cedere il passo. Lo implorano di dimettersi subito, per salvare le apparenze evitando la mattanza interna al partito. «No, serve chiarezza», è stata la gelida risposta del presidente del Consiglio determinato a non facilitare il lavoro a Renzi. E a chi è tornato a fare allusioni su un possibile futuro governativo per lui e per il suoi fedelissimi, Letta ha risposto con una risata: «Non mi avete proprio capito allora, non mi interessa nessun incarico». Già, perché nei giorni scorsi a Letta sono stati offerti il ministero degli Esteri, quello dell’Economia e un posto in Europa. «Non mi state sfiduciando sul programma, dunque è una questione personale. Ma se non vado bene come premier perché allora dovrei andare bene in un ministero così importante? », l’ironia che ha riservato nelle ultime giornate agli ambasciatori di Renzi.

La svolta è arrivata a metà mattina, quando a Palazzo Chigi è arrivata la telefonata del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Che avrebbe chiesto al premier di agire con cautela, di non portare la crisi in Parlamento per evitare di ingarbugliare ancor di più la situazione. Un percorso che rispecchiava le intenzioni di Letta, cheha preannunciato al presidente le proprie dimissioni. Per questo a pranzo con i pochi deputati e senatori rimastigli fedeli fino all’ultimo Letta ha chiesto a tutti di abbassare i toni, di non alimentare tensioni alla direzione che sarebbe iniziata da lì a poco. E così è arrivata anche la decisione di seguire il dibattito del parlamentino democratico in tv, senza andare al Nazareno come invece Letta aveva in animo di fare fino alla mattina. «Non voglio dare l’immagine di un premier che va contro il suopartito, tanto che a gettarmi via è il Pd sarà comunque chiaro a tutti gli italiani».

Guerra e Boeri per Sviluppo e Lavoro ipotesi Reichlin per l’Economia. L’articolo a firma di Giovanna Casadio:

Un consiglio l’ha chiesto a Mario Draghi. Sentire il presidente della Bce è per Matteo Renzi un tassello importante nella scelta della persona a cui affidare il ministero più delicato, quello dell’Economia. E il nome che circola sempre più insistentemente è quello di Lucrezia Reichlin, l’economista che ha lavorato a lungo alla Bce quando presidente era Jean-Claude Trichet, ben conosciuta da Draghi. Per ora la Reichlin, figlia di Alfredo e Luciana Castellina, praticamente un pezzo della storia della sinistra italiana, viene data in pole position. Del resto il segretario democratico ha qualche giorno di tempo per preparare la squadra di governo. Si schermisce anzi, ricordando i passaggi che ancora mancano prima del giorno fatidico in cui presentare al Quirinale le sue scelte.

L’unico faro è che la nuova compagine dovrà «segnare la discontinuità », ed essere anche piuttosto snella: una quindicina i ministri. Il portavoce della segreteria, Lorenzo Guerini frena le ipotesi. Però è stato Renzi stesso che un paio di giorni fa, quando il braccio di ferro con il premier che non voleva dimettersi era già all’apice, faceva sapere di avere già in cantiere la “sua” squadra. Dei ministri dell’era Letta non ne resteranno molti. Quasi certamente la responsabile della Farnesina, Emma Bonino anche per garantire la continuità delle relazioni internazionali chiesta dal presidente Napolitano. Cambio alla Pubblica Istruzione: al posto di Maria Chiara Carrozza, ex rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, pisana, prestata alla politica, dovrebbe andare il segretario di Scelta civica, Stefania Giannini, anche lei ex docente.

Sono sempre i ministeri economici i più delicati. Lo Sviluppo economico – che Letta aveva affidato al bersaniano Flavio Zanonato – sarà guidato da Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, e renziano dellaprima ora. Il Lavoro è l’altro dicastero centrale per l’impronta che Renzi vuole imprimere al suo governo. Tito Boeri è il nome che il leader dem sta facendo circolare, mentre in calo sono le quotazioni di Guglielmo Epifani. L’ex segretario del Pd dovrebbe entrare nel nuovo governo. Ma Fabrizio Barca è il nome che la sinistra del partito sponsorizza nel ministero che è stato finora di Enrico Giovannini. Piacerebbe molto anche a Sel. Ma i rapporti con Vendola sono praticamente chiusi, e difficilmente Sel si spaccherà davanti al biviodi un esecutivo con Alfano.

Il governo Renzi poggia sulla stessa maggioranza di quello di Letta. Centrale è quindi l’apporto del Nuovo centro destra. Ma i ministri di Ncd si ridurrebbero a tre: oltre al Alfano, Beatrice Lorenzin (che resterebbe alla Sanità) e Maurizio Lupi oggi ministro dei Trasporti. Alfano potrebbe rinunciare al ruolo di vice premier e rimanere però all’Interno. Il Viminale è un dicastero pesante. Il segretario vedrebbebene Dario Franceschini, ministro attuale per i Rapporti con il Parlamento, che però potrebbe andare anche alla Cultura. Quasi certa è la destinazione di Graziano Delrio. Il responsabile degli Affari regionali, ex sindaco diReggio Emilia, sarà sottosegretario alla presidenza del Consiglio. È il ruolo di braccio destro del premier: Berlusconi lo riservò a Gianni Letta. Ancora aperta è la partita per la successione a Anna Maria Cancellieri. Il Guardasigilli uscente non è stata sfiduciata per un pelo, il segretario dem ne voleva le dimissioni. Potrebbe essere Michele Vietti, il vice presidente del Csm in scadenza, il nuovo ministro di via Arenula.

Belgio, è legale l’eutanasia per i bambini. L’articolo de Il Messaggero a firma di Fabio Morabito:

Senza limiti di età. La Camera di Bruxelles ha approvato a larga maggioranza (86 i sì, 44 i no) la legge che estende la possibilità dell’eutanasia anche ai bambini, facendo diventare il Belgio il primo Paese al mondo in cui questo sarà possibile. Superando anche l’Olanda, che poneva il limite di età ad almeno dodici anni.
Perché la legge diventi applicabile ora manca soltanto la firma di re Filippo. Cosa che dovrebbe essere una formalità, anche se qualche oppositore della legge spera ancora in un “gran rifiuto”. Quando, nell’aprile del 1990, il parlamento belga approvò la legge sull’aborto, si rischiò la crisi costituzionale. Il cattolico re Baldovino si rifiutò di firmarla, con una drammatica lettera al Parlamento con la quale si chiedeva come mai solo al monarca fosse negata la libertà di coscienza. Baldovino fu “sospeso” per 36 ore, il tempo perché l’aborto diventasse legge senza la sua firma.
È da più di un anno, in Belgio, che si discute di estendere l’eutanasia. E da quando c’è stato il primo “sì”, nel novembre scorso, in Commissione al Senato, si sapeva che l’eutanasia per i bambini sarebbe diventata legge. L’unica incertezza era sui tempi. Che sono stati più rapidi del previsto. Per evitare, è la ”lettura” che ne dà la stampa belga, che crescesse la mobilitazione dei contrari. La protesta nella vigilia è stata pacifica, anche se qualche inquietante sospetto è lecito per la morte dell’olandese Els Borst, una elegante ottantenne dai capelli candidi, uccisa nel garage sotto casa lunedì scorso. Era stata lei, allora ministro della Sanità, a promuovere la legge olandese sull’eutanasia approvata dodici anni fa.

Pacifica è stata la protesta dei cattolici, e delle altre comunità religiose. L’arcivescovo di Bruxelles monsignor André-Joseph Léonard ha promosso veglie, una giornata di digiuno e di preghiera. Trentanove pediatri avevano firmato un appello dichiarando che la legge prima di tutto «non è necessaria». Preghiere e appelli che hanno accompagnato il voto, il cui esito è stato letto in un silenzio di ghiaccio (ma prima, per tre volte, nella Camera era stato urlato dalla tribuna del pubblico: «Assassini!»).

Droghe leggere, corsa agli sconti di pena. L’articolo de Il Messaggero:

Il più veloce di tutti è stato l’avvocato di un albanese condannato in via definitiva a 4 anni di reclusione per detenzione di marijuana: appresa la notizia della bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale, il legale si è affrettato a presentare un’istanza al tribunale di Milano per far sì che al suo assistito sia rideterminata la pena, ovviamente al ribasso. Ben sapendo, tuttavia, che per avere risposta dovrà attendere le motivazioni della sentenza della Consulta che non arriveranno prima di qualche settimana. Ma all’indomani del verdetto di illegittimità sulla legge che aveva eliminato qualsiasi distinzione tra droghe leggere e pesanti, è già partita la corsa al ricalcolo delle pene. Per far sì che agli imputati o ai condannati per spaccio di hashish o cannabis siano inflitte condanne più basse (da due a sei anni) rispetto a quelle previste per cocaina o eroina (da sei a venti anni). Un’operazione che teoricamente potrebbe interessare circa 10mila persone oggi recluse per droghe leggere. Ma dalla teoria alla pratica ce ne corre. Perché gli stessi giuristi sono divisi su un punto: se la decisione della Consulta abbia effetti solo sui processi in corso o anche su quelli definiti.

Il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo non dovrebbe valere nel caso in cui sia stata già pronunciata la sentenza definitiva. Ma per il giudice di Torino, Antonio Natale, questo limite verrebbe superato dalla circostanza che si è presenza non di una nuova legge ma di una dichiarazione di incostituzionalità. Di tutt’altro avviso il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, mentre il presidente delle Camere penali Valerio Spigarelli fa notare come in proposito la giurisprudenza non sia univoca. Solo leggendo le motivazioni della Corte Costituzionale forse si capirà quale sarà il margine di interpretazione offerto dalla Consulta. Che, in ogni caso, non potrà discostarsi da quanto affermato in una recente pronuncia (la 210 del 2013): al giudice comune compete «il compito di determinare l’esatto campo di applicazione in sede esecutiva» della «dichiarazione di illegittimità costituzionale» di una norma. E dunque il giudice dell’esecuzione deciderà, caso per caso, sulle richieste di ricalcolo della pena.