Mafia Capitale, chi è Guido Magrini. Salvatore Buzzi lo definiva il “Padreterno”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Giugno 2015 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Mafia Capitale, chi è Guido Magrini. Salvatore Buzzi lo definiva il "Padreterno"

Mafia Capitale

ROMA – L’ultima ondata di arresti, ben 44, quindi una vera retata che umilia la capitale di un paese del G7 agli occhi del mondo, ha coinvolto anche Guido Magrini, uno che lo stesso Salvatore Buzzi definiva come il “Padreterno” alla Regione Lazio. Ma chi è questo Magrini e perché ricostruire la sua storia politica e professionale è così importante per capire la trasversalità e la corruzione bipartisan che ha infettato Roma negli ultimi lustri?

Come racconta Edoardo Narduzzi su Italia Oggi,

il giovane Magrini è il segretario della sezione del Pci di Campo dei Fiori. Siamo nella prima repubblica ma quella è una sezione storica dei comunisti romani. Viene poi assunto come funzionario alla Lega delle cooperative. Arriva in Regione Lazio nel 1995, quando diventa assessore al bilancio un altro Pci storico di Roma, Angiolo Marroni, lo stesso che è stato immortalato nella celebre foto della tavolata che festeggia il contratto della cooperativa di Buzzi con il Comune di Roma e alla quale parteciparono anche il sindaco Alemanno ed il ministro del welfare Poletti.

Sono i tempi della giunta Badaloni ed ovviamente Magrini entra in Regione per chiamata diretta. Dopo un anno, diventa direttore dell’area Bilancio, nel 1999 passa alla direzione del dipartimento Economia e finanza e dal 2001 è scelto come direttore della direzione Bilancio. Nel 2005 arriva al top: oltre al Bilancio, gli vengono attribuite le funzioni vicarie del Dipartimento economico. Sulla prima poltrona resta seduto fino a settembre 2010, quando al suo posto subentra Marco Marafini, «attraverso un concorso interno al quale, da esterno, non avrebbe potuto partecipare», precisa Roberta Bernardeschi del sindacato dei dirigenti della Regione Lazio. La seconda poltrona, Magrini la lascia nel 2013, sempre a beneficio del giovane Marafini, perché nell’aprile dello stesso anno, il presidente neoeletto Nicola Zingaretti lo nomina, con un compenso annuo a carico dei contribuenti di 211 mila euro lordi, direttore della direzione regionale delle politiche sociali.

Insomma Magrini resiste al comando dei cordoni della borsa della Regione Lazio con ogni maggioranza politica: Badaloni, Storace, Marrazzo, Polverini e Zingaretti.

Non può stupire, quindi, che Buzzi, parlando con la propria compagna, rivendica come un asset fondamentale il suo rapporto stretto con Guido Magrini, «è amico mio mio mio », e sfogliando la delibera regionale aggiunge: «È potentissimo lui Guido ha fatto questa cosa per noi!». Il 19 novembre 2013 Buzzi annuncia trionfante: «Magrini ha trovato 16 milioni di euro». Dopo un mese, la giunta di Zingaretti approva la delibera 470 che stanzia 16,5 milioni di euro per l’emergenza abitativa in Regione Lazio. Come si legge all’inizio della delibera, il soggetto proponente è la Direzione regionale per le politiche sociali, la struttura guidata da Guido Magrini. Quando la situazione si fa difficile, Zingaretti, che si era già visto arrestare, per fatti diversi, dalla magistratura romana altri due dirigenti apicali regionali, quali Raniero De Filippis e Luca Fegatelli, corre ai ripari e nomina Magrini in una posizione dirigenziale individuale di studio e ricerca per 155mila euro annui di retribuzione più un premio annuo di risultato pari al 30% del lordo base: neppure in Banca d’Italia un ricercatore di qualità internazionale percepisce tanto.

All’inizio del 2006 lo incontrai personalmente. Il disavanzo della sanità laziale viaggiava nell’intorno di 1,5 miliardi annui ed il debito accumulato era il più importante d’Italia. Volevo capire con quali strumenti tecnologici gestiva e controllava una spesa sanitaria di 10 miliardi annui. La conversazione che si produsse durante quell’incontro nella sua stanza di dirigente della Regione Lazio è una delle più surreali della mia intera storia professionale. Una piéce degna del teatro dell’assurdo di Ionesco. Gli chiedo di farmi capire quale strumento di reportistica e di analisi degli indicatori di spesa utilizzi. Lui prende dalla tasca interna della sua giacca il portafoglio, ne estrae un foglietto di carta ripiegato almeno quattro volte e pieno zeppo di annotazioni a matita. «Le diverse fonti di spesa della sanità sono tutte qui, le porto sempre con me», mi rispose. Pensavo fosse un scherzo e gli precisai la mia domanda: «Vorrei capire come tiene sotto controllo l’andamento della spesa farmaceutica o quella di una singola Asl per capire che tra budget e avanzamento della spesa corrente non ci sia alcuno scollamento che non viene colto e che si trasforma in disavanzo ad anno chiuso quando nessuna politica correttiva è più possibile?» (…)