Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Eroi un par di palle”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Dicembre 2014 - 07:55 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Eroi un par di palle"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Eroi un par di palle”

ROMA – “Allegria! Torna – lo annuncia Repubblica – il finanziamento pubblico ai partiti – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano -Qualcuno dirà: perché, era mai andato via? No, ma l’anno scorso era passata una legge targata Letta che lo trasformava da diretto a indiretto: dal 2017 i partiti incasseranno più o meno gli stessi soldi di prima a carico nostro, ma sotto forma di sconti e agevolazioni al posto dei “rimborsi” a pioggia e a forfait”.

L’articolo di Marco Travaglio: Solo che ora dovranno almeno rendicontare le spese elettorali, mentre prima si facevano rimborsare anche quelle inesistenti. E non ne vogliono sapere, anche perché per vent’anni si erano regalati un paio di miliardi camuffati da rimborsi per le campagne elettorali, mentre per i tre quarti erano finanziamenti alle loro elefantiache strutture, ma non potevano ammetterlo, salvo confessare la truffa per aggirare il referendum del 1993. La scusa che i vari Sposetti (tesoriere dei Ds, che non esistono più, ma hanno ancora un tesoro e dunque un tesoriere), i forzisti Rossi e Abrignani (quello che brigava per trasferire da Re-bibbia un camerata della banda romana), Paglia (Sel), Rampelli (FdI) & C. hanno escogitato è strepitosa (…) Per arrotondare i “rimborsi”. La verità è che i partiti hanno sempre rubato, a prescindere dal finanziamento pubblico: prima che venisse istituito, nel 1974, la corruzione esisteva già; è proseguita per vent’anni, integrandolo; è continuata imperterrita nell’ultimo ventennio, dopo il referendum del ‘ 93, con i finti “rimborsi elettorali”; e seguita a imperversare anche con la legge del 2013. Perché non nasce dai “costi della politica” o “della democrazia”, come raccontano le anime belle, ma dall’avidità e dalla ladroneria della classe dirigente più losca dell’Occidente. Cioè dal patto collusivo, criminale, mafioso fra politici e imprenditori. La differenza rispetto alla Prima Repubblica è che allora le imprese erano forti e queste facevano il bello e il brutto tempo; ma erano forti anche i partiti, che le lasciavano scorrazzare in cambio del pizzo, che in privato si chiamava tangente e in pubblico “primato della politica”. Oggi invece le imprese sono deboli, quasi tutte imputate e in stato comatoso, e i partiti ancor di più, infatti si accontentano di prendere ordini in cambio di qualche mancetta. Craxi, noto corrotto e concussore, non si sarebbe mai sognato di copiare un documento di Confindustria e trasformarlo in legge, come ha fatto Renzi col Jobs Act. Né si sarebbe azzardato a strusciarsi al maglioncino unticcio di Marchionne e a definire gli imprenditori “eroi del nostro tempo”. Le marchette agli industriali le faceva anche lui, ben remunerate peraltro, ma di nascosto: in pubblico non si sarebbe mai ridotto a tatuaggio dei padroni delle ferriere (…)