Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: L’Arcangelo Gabrielli

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Settembre 2015 - 08:22 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: L’Arcangelo Gabrielli

Franco Gabrielli (LaPresse)

ROMA – “L’Arcangelo Gabrielli” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di mercoledì 2 settembre.

Per curiosità: ma questo Franco Gabrielli che animale è? Se è ancora un prefetto della Repubblica, nella fattispecie il prefetto di Roma Capitale, che ci fa in televisione da mane a sera a dichiarare, pontificare, fare battute, lanciare avvertimenti? Se è diventato un politico, cioè il candidato-ombra di Renzi a sindaco di Roma, e ha iniziato la campagna elettorale in giro per talkshow, perché non lo dice e non smette la divisa di prefetto?

Ieri dispensava perle di presunto umorismo e dubbia saggezza ad Agorà, su Rai3. Ma gli interrogativi sulla sua logorrea risalgono all’ottobre 2012, quando Gabrielli offese i terremotati de L’Aquila dicendo che, dinanzi al sisma, “gli emiliani hanno reagito meglio” di loro. Il tutto dopo aver vietato, da prefetto de L’Aquila, le assemblee e i volantinaggi nelle tendopoli; e financo denunciato per “propaganda elettorale non autorizzata” gli aquilani rei di sgomberare le strade dalla macerie che il governo e dunque il prefetto lasciavano lì da anni.

Ma lui è fatto così: parla quando dovrebbe tacere e tace quando dovrebbe parlare. Tipo a metà giugno, quando Renzi annunciò a Porta a Porta: “Il governo non commissarierà il Comune di Roma per mafia”. Il prefetto Gabrielli aveva appena ricevuto la relazione di mille pagine della commissione d’accesso da lui inviata in Comune per decidere sull’eventuale scioglimento per Mafia Capitale dopo la seconda ondata di arresti. E, mentre la leggeva, il premier comunicò in diretta tv che poteva pure cestinarla, tanto lui – senz’averne in quella fase alcun potere – aveva già deciso al posto suo.

Anziché difendere le proprie prerogative e la propria autonomia, il prefetto si cucì la bocca proprio in una rara occasione in cui avrebbe dovuto aprirla. Poi scattò sull’attenti e si mise a vento, facendo dimenticare i suoi trascorsi enricolettiani: presentò al Viminale una relazione all’acqua di rose che escludeva lo scioglimento del Comune di Roma, in barba alla legge del 1991 modificata nel 2009 (i comuni vanno sciolti quando emergono “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero forme di condizionamento degli stessi”, anche in via precauzionale,anche senza indagati nelle giunte e nei consigli comunali), ma in linea con i desiderata tutti politici di Renzi (evitare il ritorno dei romani alle urne con i sondaggi che danno favoriti i 5 Stelle e il commissariamento in pieno Giubileo). (…)