Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Renzollini”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Agosto 2015 - 07:35 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Renzollini"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Renzollini”

ROMA – “Per celebrare degnamente i 40 anni della supercazzola di Amici miei – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – Renzi ha lanciato un nuovo slogan, di quelli che suonano bene e nella loro perentorietà paiono persino ragionevoli, ma solo perché nessuno provvede a smontarli su due piedi: Il Parlamento non è il passacarte della Procura di Trani”.

L’editoriale di Marco Travaglio: Si riferiva alla richiesta di autorizzazione all’arresto per il senatore Ncd Antonio Azzollini, respinta dal Senato col voto decisivo di mezzo Pd, di FI, Ncd, Gal e verdiniani. Era difficile concentrare due scemenze in 10 parole, ma il premier ci è riuscito.

1) La richiesta non proviene dalla Procura di Trani, ma da un giudice terzo: il Gip, la cui ordinanza è stata già confermata da tre giudici del Riesame di Bari, cioè di una sede diversa. 2) Il ruolo che l’art. 68 della Costituzione assegna al Parlamento in questi casi è esattamente quello del passacarte: le Camere non possono sindacare sulla fondatezza delle esigenze cautelari (gravi indizi di colpevolezza e almeno un pericolo tra la fuga, la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove), che sono esclusiva competenza del giudice; possono soltanto accertare se l’indagine presenti un fumus persecutionis, cioè – nel nostro caso – la prova che il pm, il gip e i tre giudici del Riesame vogliano arrestare Azzollini perché lo considerano un avversario politico e hanno imbastito un’indagine sul nulla per colpirlo.

Se dimostrato, sarebbe un fatto così grave da imporre immediati procedimenti penali e disciplinari contro i cinque magistrati, per radiarli e soprattutto per liberare con tante scuse i 10 coindagati di Azzollini, finiti in manette perché non hanno avuto l’accortezza di rifugiarsi in Parlamento. Ma nel dibattito in giunta e poi in aula non c’è traccia non dico di una prova, ma neppure di un velato sospetto di quel fumus. L’Ncd D’Ascola ha creduto di ravvisarlo nel fatto che i reati si fermano a un anno fa, dunque “le esigenze cautelari non sono più attuali”: ma, a parte il fatto che i testimoni possono essere intimiditi e le carte essere truccate anche ad anni e anni di distanza dai fatti, non spetta al Parlamento sostituirsi al giudice nel valutare l’attualità delle esigenze cautelari; e poi che c’entra con questo timing la persecuzione? Il fittiano Di Maggio ha argomentato che “l’ufficio di Azzollini è pieno di libri, quotidiani e ritagli di giornali e dove c’è cultura e conoscenza non ci può essere volgarità”, dunque il senatore non può aver detto “Ti piscio in bocca” a una suora.

Quindi, a parte il fatto che l’arresto del senatore non è stato disposto per quella frase ma per una bancarotta fraudolenta da 500 milioni, a seguire Di Maggio non si dovrebbe più arrestare nessun delinquente che abbia in casa qualche libro. E Dell’Utri andrebbe scarcerato immantinente in quanto bibliofilo.

Dice ora Renzi: “La Costituzione dice: fumus persecutionis sì o no. Si vota guardando le carte. La posizione della Giunta è stata di un tipo, ma il nostro capogruppo Zanda ha letto le carte e lasciato libertà di coscienza. Potrebbe esserci fumus persecutionis”. Potrebbe? Il fumus o c’è o non c’è. E, per esserci, dev’essere provato. Altrimenti il Parlamento viola l’art. 3 della Costituzione sulla legge uguale per tutti. Del resto l’11 giugno, quando la richiesta partì e prim’ancora di leggere le carte, il presidente Pd Matteo Orfini annunciò: “Di fronte a una richiesta del genere si devono valutare le carte, ma mi pare inevitabile votare a favore dell’arresto”. Poi le carte furono valutate dalla Giunta per le immunità, che con maggioranza schiacciante (13 a 7) votò Sì all’arresto e No al fumus (Pd, M5S e Lega al completo). Poi Zanda, quando il governo perse la maggioranza in Senato e imbarcò i verdiniani, intonò il “liberi tutti” ai senatori Pd: non quelli che avevano letto le carte in giunta, ma quelli che non le avevano lette in aula. E questi si organizzarono per portare i 60 voti necessari a salvare Azzollini, e con lui il governo. Quindi, con buona pace del premier, i senatori non hanno “rispettato la Costituzione”: l’hanno violata in nome della cara vecchia giustizia di casta. E anziché fare, com’era loro dovere senza prove del fumus, i passacarte dei giudici, han fatto i passacarte di Renzi, anticipando il “nuovo” Senato a sua immagine e somiglianza (…).