Massimo Giannini: “Così cambio Ballarò. Santoro? Maestro”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Settembre 2014 - 11:31 OLTRE 6 MESI FA
Massimo Giannini

Massimo Giannini

ROMA – “Così cambio Ballarò” dice, intervistato dal Corriere della Sera, Massimo Giannini che, lasciata Repubblica, si prepara a condurre la nuova stagione del talk show di Rai 2 dove sostituirà Giovanni Floris.

L’intervista di Aldo Cazzullo.

Massimo Giannini, perché ha lasciato la vicedirezione di «Repubblica» per fare il talk-show di un altro?
«Io non faccio il talk-show di un altro. Ballarò è un programma della Rai, che mi ha chiesto di condurlo dopo che Floris ha deciso di andare a La7. Detto questo, lasciare Repubblica dopo 28 anni è stato un dolore. Ho avuto la fortuna di lavorare con il più grande direttore della storia del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, e con il suo degno erede, Ezio Mauro, che ha stravinto la scommessa della successione. E con un editore, Carlo De Benedetti, che in tutto questo tempo non mi ha mai chiesto di fare una cosa o di non farla».
Ne è sicuro?
«Ci siamo confrontati sempre e su tutto, ma non ho mai ricevuto un diktat. Altro che “servo di De Benedetti”, come leggo da qualche parte in rete…».
Allora perché se n’è andato?
«Quando Luigi Gubitosi e Andrea Vianello mi hanno proposto di condurre Ballarò , ho accettato perché mi sentivo personalmente pronto a cambiare: nel lavoro come nella vita considero il cambiamento un valore in sé. E poi è una grande chance di sperimentare quell’integrazione tra piattaforme diverse che finora per i grandi gruppi editoriali è rimasta solo un’ambizione, per non dire una velleità».
Perché non cambiare nome a «Ballarò»?
«Ballarò è un programma di RaiTre. Indagini alla mano, si è rivelato una forza: rinunciarvi sarebbe stato un errore editoriale».
Cosa pensa del suo predecessore?
«Giovanni Floris è un mio amico. Dalla mia bocca non uscirà una sola parola contro di lui. Certo ci saranno novità: nella sigla, nel comico, nel sondaggista».
Ma non è la formula del talk-show a essere in crisi?
«È vero, il talk-show conosce difficoltà, sia pure non gravi come quelle della carta stampata. Lo stesso Ballarò l’anno scorso ha perso un milione di spettatori».
Il motivo, secondo lei?
«Mi viene in mente un romanzo di Don De Lillo: Rumore bianco . Il chiacchiericcio politico è come un rumore di sottofondo che non lascia tracce: di rado alla fine della trasmissione, dopo aver ascoltato i vari ospiti, lo spettatore ha cambiato il suo modo di pensare. Credo sia superato concepire un talk-show come uno scontro tra due curve contrapposte, fin dalla costruzione fisica dello studio».
Cambierà anche quella?
«Sì. Ha senso contrapporre destra e sinistra, nel momento in cui di fatto governano insieme? Non penso a due squadre una contro l’altra, ma a una soluzione più inclusiva. E poi i giornalisti dovrebbero essere in posizione terza, non schierati di qua o di là».
Lei non è un giornalista di parte?
«Io ho una mia storia, che non rinnego, anzi rivendico. Credo nella militanza giornalistica, e non vi rinuncerò. Intendo dire come la penso sui vari argomenti. Ma basandomi su dati, fatti, numeri; non su pregiudizi ideologici».
Floris si è scontrato con Renzi. Anche lei finora è stato molto critico con il premier. In Rai quale linea sceglierà?
«Da giornalista, voglio trattare tutti i politici allo stesso modo. Non considero Renzi e Berlusconi uguali, ma la mia coscienza mi impone di adottare nei confronti di tutti i poteri lo stesso metro di giudizio».
La politica economica di Renzi le appare improvvisata?
«Renzi sta facendo grandi sforzi per scuotere un Paese sfiduciato. Ma obiettivamente si è aperto uno scarto tra le promesse e le cose fatte. Se dici agli italiani di andare in vacanza allegri e poi arrivano dati negativi su Pil e occupazione, se annunci investimenti da 40 miliardi per sbloccare l’Italia e poi ne tiri fuori meno di 4, recuperati da risorse già stanziate, il nostro mestiere ci impone di segnalare questo scarto».
Cosa pensa di Santoro?
«Un maestro. Insieme con Gad Lerner è stato il vero raccontatore della transizione italiana da Tangentopoli in avanti. E vanta numerosi tentativi di imitazione, alcuni all’insegna del populismo, tipo il collegamento con la piazza urlante. Un genere che credo lo stesso Santoro consideri superato».
Lei non farà collegamenti?
«Al contrario: i nostri inviati avranno il compito di raccontare storie e soprattutto di trovare notizie. Il nostro obiettivo è avere uno scoop alla settimana. Anche se non sempre ci riusciremo, dovremo sempre provarci».
E Vespa come lo considera?
«Un’istituzione. E un professionista di grande livello. Ovviamente il mio modo di condurre sarà diverso dal suo».
Lei quanto guadagnerà?
«Non voglio essere reticente, ma ho un obbligo di riservatezza».
Tanto Brunetta lo scopre. Tanto vale che lo dica lei.
«Non ho obiezioni a che lo dica la Rai».
Le è spiaciuto che il sindacato interno abbia protestato contro il suo arrivo?
«Li capisco: nel mondo ideale, la scelta del direttore di un tg o del conduttore di un programma dovrebbe sempre avvenire all’interno dell’azienda. Bisognerebbe chiedersi perché non accade. Mi piace pensare che il giorno in cui me ne andrò il mio successore naturale sarà un interno. Il mio primo impatto con Vianello e con la sua bella squadra di RaiTre è stato eccellente. La Rai è la più importante azienda culturale del Paese. Deve solo avere il coraggio e l’orgoglio di dimostrarlo ogni giorno».