Mps, Alessandro Profumo dopo il no della Fondazione: “Volevo dimettermi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Gennaio 2014 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Mps, Alessandro Profumo dopo il no della Fondazione: "Volevo dimettermi"

Alessandro Profumo (Foto Lapresse)

SIENA – Mps, per il presidente Alessandro Profumo quelli a cavallo di Capodanno sono stati giorni pesanti, con la Fondazione guidata da Antonella Mansi che ha negato, forte del suo 33%, la ricapitalizzazione a gennaio.

In conferenza stampa, ha raccontato il 29 dicembre Andrea Greco sulle pagine di Repubblica, il banchiere si è mostrato “pentito di non aver dato retta a quanti (compresa la moglie) lo consigliavano di stare alla larga da Siena.

“Dal mio punto di vista la cosa migliore era venire in conferenza stampa con la lettera di dimissioni — ha confidato ai collaboratori — ma ha prevalso il senso di responsabilità. Ora stacco qualche giorno, il tempo necessario per riflettere a sangue freddo. Finora non ho preso decisioni, voglio valutare bene pro e contro delle future scelte. A gennaio riuniremo il cda e vedremo. Ed esamineremo anche la possibilità di impugnare la delibera assembleare”.

Profumo ha preferito aspettare, vedere la reazione della Borsa e gli sviluppi del piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi imposto da Unione europea e ministero dell’Economia. 

Che ne sarà della trattativa con la cordata delle fondazioni, disposte a mettere sul piatto 900 milioni per liberare l’ente Mps dal giogo dei debiti? L’esigenza di controllare queste variabili, da cui dipende la stabilità della terza banca italiana a rischio crescente di nazionalizzazione, potrebbe indurre le autorità ad attivarsi affinché il management garante del riassetto possa continuare l’opera.

Ma il 29 dicembre è stato solo il giorno della delusione.

“Qui ci sono solo due alternative: o si salva Mps e la si trasforma in una banca seria o se ne fa il terminale della Fondazione locale, che visti i trascorsi non mi pare un modello. (…) Questo rinvio di sei mesi ripiomba la banca nell’incertezza. Sono convinto che la Fondazione stia rifacendo lo stesso errore, con il rischio che ne facciano le spese i contribuenti italiani, che con l’aumento riavrebbero subito i 3,3 miliardi dei Monti bond”.

Greco interpreta il pensiero di Profumo:

A un ex manager che comprò venti banche in venti paesi, quali in Borsa quali privatizzande, non possono andar giù i ragionamenti assembleari di tanti “montepaschini” (non la Fondazione), lieti se Babbo Monte tornasse nel solco pubblico, dove sempre è stato fino al 1995. La storia dice che quella trasformazione in spa, del vero, aprì la strada delle sventure, con tante operazioni sbagliate, quasi sempre targate politicamente per la blindatura dell’attuale Pd sugli enti locali. Ancora oggi Comune, Provincia e Regione nominano sette dei 14 poltrone in fondazioneMa Profumo rigetta le letture politicanti: “Se la politica ha un peso nelle scelte della Fondazione? Chiedetelo alla Fondazione”.

Poi, a chi gli ricorda che a chiamarlo a Siena fu l’ex sindaco Ceccuzzi, dalemiano, Profumo replica piccato che

non sente «da mesi e mesi» l’antagonista di Matteo Renzi. «Non sono eletto a Siena, sono venuto a salvare una banca, un ruolo totalmente diverso», sbotta, e rammenta quando, un anno fa, ci mise la faccia e il carisma antico, facendo il giro delle tesorerie per recuperare i miliardi di raccolta che Mps perdeva a ogni nuova puntata delle inchieste giudiziarie.

Greco fa un paragone con la caduta di Unicredit, altra creatura di Profumo,

 

quando le fondazioni socie lo misero alla porta stufe del suo tirar dritto (anche verso la ricerca di soci nuovi, dicevano). “Avrò il mio carattere, anche se invecchiando divento troppo buono — racconta ai collaboratori — ho fatto di tutto in questi mesi per convincere la Fondazione dell’urgenza della situazione, che ci imponeva di convocare l’assemblea per sfruttare la finestra di ricapitalizzazione che si apre il 16 gennaio. Comunque finirà, credo di aver fatto il presidente molto bene, raccordando Consob, Bankitalia e Tesoro con la Commissione Ue, tenendo coesi i manager cui tagliavamo gli stipendi, ascoltando gli amministratori durante consigli che durano anche dieci ore”. E sorbendosi l’odio dei senesi, di cui seguita a diffidare ricambiato.