Pensioni, diritti acquisiti: cosa è successo quando il governo ha tentato di modificarli

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Ottobre 2014 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni, diritti acquisiti: cosa è successo quando il governo ha tentato di modificarli

Pensioni, diritti acquisiti: cosa è successo quando il governo ha tentato di modificarli (Sole 24 Ore)

ROMA – Pensioni, diritti acquisiti: cosa è successo quando il governo ha tentato di modificarli. Sullo scottante tema delle pensioni, si fa un gran parlare di “diritti acquisiti”, spesso accostandoli alla parola “privilegi”.

Un completo articolo del Sole 24 Ore, firmato da Matteo Prioschi e Fabio Venanzi, mette in fila trent’anni di sentenze della Corte Costituzionale e in un caso della Corte di Cassazione, che spesso hanno bocciato i tentativi dei diversi governi di tagliare le pensioni più alte e le cosiddette pensioni d’oro. Tentativi che spesso hanno portato solo a maggiori costi per le casse dello Stato.

“In più occasioni il legislatore ha tentato di “rideterminare” i trattamenti pensionistici in pagamento calcolati sulla base di normative pregresse molto generose ma non più sostenibili dalle finanze pubbliche.

Tentativi normativi resi tuttavia in più di un caso inapplicabili dalla Corte costituzionale che ne ha vanificato gli effetti finanziari, talvolta con maggiori oneri alle casse pubbliche.
Lo scorso anno la sentenza 116/2013 ha neutralizzato gli effetti del contributo di solidarietà introdotto dalla manovra estiva del 2011 (decreto legge 98/2011 ) che aveva previsto un taglio del 5% per le pensioni superiori a 90mila euro annui lordi (e del 15% per la parte eccedente i 200mila euro). La misura era eccezionale e si sarebbe dovuta applicare limitatamente al periodo agosto 2011-dicembre 2014. Ma la disparità di trattamento rispetto ai soggetti (non pensionati) con redditi superiori a 300mila euro per i quali il contributo si fermava al 3% ne ha determinato l’incostituzionalità.

La decisioni della Consulta, però, non sono andate sempre nella stessa direzione. Già con la legge 488/1999 era stato previsto un contributo del 2% sulla parte eccedente 74.505 euro per il triennio 2000-2002 e successivamente con la legge 350/2003 il contributo fu innalzato al 3% nel periodo 2004-2006 per la parte eccedente 25 volte il trattamento minimo (516,46 euro) stabilito dalla legge 448/2001. La riforma del 2008 (legge 247/2007 ), che aveva previsto anch’essa un contributo di solidarietà per le pensioni superiori a otto volte il trattamento minimo, superò il vaglio della Corte costituzionale.

Furono invece bocciate le leggi 638/1983 e 537/1993 che avevano eliminato le integrazioni al minimo sulle pensioni aggiuntive alla prima percepite dalla stessa persona. Con la sentenza 240/1994, la Corte costituzionale decise che gli importi già riconosciuti al 1983 andavano “cristallizzati” e l’Inps non avrebbe dovuto ridurli tagliando le integrazioni.

Sempre nel 1994, con la sentenza 264 , fu inoltre giudicato incostituzionale l’articolo 3 della legge 297/1982 che prevedeva il calcolo della pensione sulla base della media contributiva delle ultime 260 settimane precedenti. Secondo i giudici, nel caso in cui in tale arco di tempo il reddito si fosse abbassato rispetto al precedente, c’era il diritto di escludere il periodo meno favorevole.

Tre anni più tardi, a seguito della discussa sentenza 211/1997 , la Corte costituzionale precisò che il legislatore per salvaguardare l’equilibrio di bilancio può modificare la disciplina pensionistica fino a ridurre l’entità del trattamento anche se questo è già iniziato.

Anche la Corte di Cassazione è intervenuta su questo tema. Con la sentenza 17892/2014 riguardante la Cassa di previdenza dei ragionieri, ha stabilito che non si può modificare il criterio di calcolo delle pensioni in peggio ampliando il periodo contributivo considerato senza “salvare” quanto maturato in precedenza con le vecchie regole, anche se tale decisione viene presa per garantire la stabilità finanziaria dell’ente previdenziale.

Con l’ultima legge di stabilità il legislatore ha riproposto un intervento di riduzione per i trattamenti superiori a 91.251,16 con un contributo del 6, 12 o 18% secondo l’importo annuo in godimento. Questa volta però è stato previsto che le somme trattenute vengano acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie per concorrere al finanziamento degli interventi volti ad ampliare la platea dei lavoratori salvaguardati. Obiettivo: superare l’intangibilità affermata dalla Corte in materia di diritti acquisiti e di redistribuzione della “ricchezza” tra i lavoratori”.