Porcellum, Michele Ainis sul Corriere: “Schiaffo ai partiti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Gennaio 2014 - 09:19 OLTRE 6 MESI FA
Schiaffo ai partiti"

Il Parlamento (Ansa)

ROMA – “Schiaffo ai partiti”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Michele Ainis sulle pagine del Corriere della Sera del 14 gennaio:

Le carte, a questo punto, stanno tutte lì sul tavolo. Adesso tocca ai giocatori, dunque alla politica. Perché la Consulta ha messo nero su bianco le sue motivazioni, e senza risparmiare sull’inchiostro: 26 pagine. Una sentenza che ne richiama altre cento (perfino del Tribunale costituzionale tedesco), che insomma cerca d’appoggiarsi ai precedenti, pur essendo una decisione senza precedenti. Ma in ultimo la costruzione è persuasiva: non c’è più il Porcellum, pace all’anima sua. Non c’è però alcun vuoto normativo, giacché residua un sistema elettorale pronto all’uso. E tale sistema è finalmente in armonia con la Costituzione, benché il Parlamento possa modificarlo anche domani.

Quale? Un proporzionale con voto di preferenza. Questa sentenza è infatti un coltello con due lame: la prima recide il ramo da cui pendeva il premio di maggioranza senza soglia; la seconda intaglia il ramo delle liste bloccate, scolpendovi lo spazio per esprimere un voto, almeno uno. Sicché gli elettori recuperano la voce, però diventa afona la voce dei partiti. D’altronde, fin qui, avevano urlato pure troppo. C’è un passaggio, al punto 5 della motivazione, dove questi ultimi vengono apostrofati senza troppi giri di parole: «I partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale», non possono espropriarne il voto attraverso lenzuolate di cognomi su cui è vietato apporre una crocetta, e infine sono gli elettori — non i partiti — a rivestire «attribuzioni costituzionali».

Una sonora bocciatura del passato, ma anche una lezione per il futuro. Significa che gli elettori vanno rispettati, perché la sovranità appartiene al popolo, non alle segreterie politiche. E significa, al contempo, che le esigenze della governabilità non devono andare a scapito della rappresentatività del Parlamento (…)