Riforme, Corrado Passera: “Jobs act, retromarce e misure insufficienti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Ottobre 2014 - 11:58 OLTRE 6 MESI FA
Corrado Passera: "Jobs act, retromarce e misure insufficienti"

Jobs act

ROMA – “Jobs act, retromarce e misure insufficienti” è il titolo dell’articolo sul Sole 24 ore a firma di Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti del governo Monti e leader di Italia Unica.

“La riforma del lavoro è fatta, ora passiamo a quella del fisco”. Come in un videogioco, Matteo Renzi pensa freneticamente al livello successivo, senza preoccuparsi di quanto realizzato. È accaduto per le tante riforme annunciate in questi otto mesi e rimaste solo titoli o slides e il copione si ripropone oggi per il Jobs Act.

La fiducia strappata al Senato verrà replicata alla Camera, impedendo il confronto parlamentare dopo che quello con le parti sociali è stato ridotto a poco più che un sofferto siparietto, per cui, verosimilmente, il testo non subirà modifiche, lasciando inalterati i dubbi di queste ore. Servirà o no a ridurre la piaga della disoccupazione soprattutto giovanile che sta ulcerando milioni di famiglie? Permetterà alle imprese di tornare a investire sul proprio futuro, con regole chiare e moderne, in grado di far loro affrontare le sfide del mercato globale senza le mani legate? La risposta, tanto disarmante quanto preoccupante, è no. Vediamo perché.

L’articolo 18 è ancora lì e ci è già stato detto che rimarrà il reintegro oltre che per i licenziamenti discriminatori – giusto – anche per i licenziamenti disciplinari (tutti da ora in avanti verranno impugnati come tali); e comunque riguarderà solo i nuovi assunti allargando il dualismo di oggi. Si parla di demansionamento, ma con vincoli tali che rischiamo addirittura di peggiorare la situazione attuale e di rendere ancora più difficile salvare posti di lavoro in occasione di ristrutturazioni inevitabili. Non si parla di esigibilità dei contratti e di norme sulla rappresentanza. Non si semplifica il contratto di apprendistato e si sposta tutta l’attenzione su un titolo senza contenuti, il “contratto unico a tutele crescenti”, che tutti possono immaginare come meglio conviene.

È poi singolare (o meglio, inquietante) che chi usa lo scudo della fretta porti nelle aule parlamentari una nebulosa legge delega che concede al governo sei mesi per essere riempita di contenuti. Se la mancanza di lavoro è un’emergenza serviva un intervento di grande impatto suscettibile di provocare nel più breve tempo possibile risultati apprezzabili. Cosa potrà mai succedere nei prossimi sei mesi di vuoto legislativo e senza nessuno stimolo all’economia? Che la situazione delle imprese e delle famiglie peggiorerà. Mario Draghi ha detto che questo è il momento di pensare alle assunzioni, non ai licenziamenti. Bene. Ma ha detto anche che vanno fatte riforme profonde e rimessi in moto gli investimenti: privati e pubblici. Invece il governo gli investimenti li taglia, preferendo aumentare di 50 mld (sì, proprio 50) la spesa corrente, con 80 mld di tasse in più e investimenti pubblici ridotti al lumicino. Sono dati ufficiali, contenuti nel Def. Dati che il Governo mette nero su bianco, mentre lascia in bianco le deleghe che dovrebbero garantire il rilancio.

In conclusione. Non è solo sbagliato il Jobs act. Act, sia nelle intenzioni che negli impalpabili contenuti. È che manca del tutto una vera politica industriale di medio periodo che consenta al Paese di ripartire e di evitare un trend di costante peggioramento che a breve potrebbe diventare insostenibile. Serve riavviare gli investimenti privati e pubblici e uno strumento ci sarebbe, i Fondi Strutturali Europei, ma addirittura sentiamo parlare di ridurre i cofinanziamenti nazionali. Serve riavviare gli investimenti dando un segnale fortissimo sulla fiscalità delle imprese dimezzando l’Ires: i 20 miliardi che servono sono chiaramente recuperabili. Serve insomma una scossa di grandissime dimensioni: non è certo un caso se nel programma di Italia Unica si parla di almeno 400 mld di interventi, spiegando per filo e per segno dove andarli a prendere senza sfondare il deficit. I governi precedenti non hanno avuto il coraggio di questa ambizione e, per ora, nemmeno l’attuale. Speriamo di coglierne qualche traccia nella prossima Legge di Stabilità.
Il passodopopasso renziano rischia di farci perdere altri mesi preziosi, mentre l’opposizione si lascia ipnotizzare – per convenienza e incapacità – dalla narrazione di un populismo vuoto. Guardiamo cosa è successo con la semplificazione della burocrazia: Province? Risolto! Purtroppo stanno invece rieleggendone i vertici proprio in questi giorni e si sono inventati quelle metropolitane, guardandosi bene dal chiarire le nuove responsabilità di Comuni e Regioni. Ma clamoroso è il caso dei debiti scaduti della Pa: non solo non sono riusciti a liquidare i fondi messi a disposizione dai Governi precedenti, ma neppure sanno dirci a quanto ammonta il dovuto scaduto, mentre la via crucis dei creditori è sempre più penosa: certificazione, garanzia, anticipazione bancaria… (…)