Torino, la figlia di Marco Travaglio tra i feriti di piazza San Carlo

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Giugno 2017 - 09:16 OLTRE 6 MESI FA

TORINO – Anche la figlia di Marco Travaglio, Elisa, è tra i feriti della calca di Torino a piazza San Carlo. 

“Alle 22.15 – racconta Travaglio – subito dopo il terzo gol del Real, mi appare il suo numero sul cellulare. Provo a rincuorarla: “Dài, pazienza, è andata così…”. Ma la voce dall’altro capo non è la sua. È quella del suo amico, che assicura: “Elisa sta bene, ma non può parlare, ha male a una gamba”. Brivido gelato nella schiena. Me la faccio passare a forza: ansima, piange, ripete “vienimi a prendere, voglio andare subito via di qui, c’è stato un attentato, una bomba, non so, mi hanno calpestata, mi hanno camminato sopra, non mi sento più la gamba sinistra, e gli scoppi continuano, stiamo scappando verso piazza Vittorio”. La prego di calmarsi e di restare collegata, intanto salto in macchina con mia moglie e voliamo a prenderla, appena in tempo prima che anche in piazza Vittorio Veneto si scateni il panico per l’ondata dei fuggitivi che, attraverso via Po e le strade laterali, sciamano via dal luogo della non-partita e del non-attentato. La carico in auto che trema ancora come una foglia e fatica a parlare. E mi fiondo al pronto soccorso più vicino”.

E al pronto soccorso iniziano ad arrivare i primi feriti. E si diffondono voci incontrollate su un possibile attentato:

Molti sono scalzi, a piedi nudi: nella calca hanno perso le scarpe, figurarsi le infradito. Altri hanno smarrito borse e zainetti, documenti e telefonini compresi: chiedono in prestito quelli superstiti per chiamare casa e rassicurare. Dicono che solo un petardo e uno scherzo da teste di cazzo è impossibile: qualcosa di grave dev’essere successo per forza. Chi ha sentito dire di una bomba, chi di un balcone crollato, chi di un’auto esplosa nel parcheggio sotterraneo, chi ha udito le raffiche di una mitragliatrice. E poi le voci di attentato, accompagnate dai rituali “una bomba, una bomba!” e dall’immancabile “Allah u akbar”.

Alle 2, racconta ancora Travaglio, Elisa è ancora in sedia a rotelle col ghiaccio sulla gamba, nessuno ha potuto visitarla, ci sono casi più urgenti. Vuole andare a casa. La carichiamo in spalla e ce ne andiamo, sperando che non abbia nulla di fratturato. “Non andrò mai più in piazza per una partita, e nemmeno allo stadio”, dice lei alla fine della più lunga serata della sua vita. In macchina, la radio informa di un attentato a Londra. Un attentato vero. Ma che differenza fa. Ormai i terroristi, anche quando non ci sono, è come se ci fossero.