Epatite E, aumentano contagi in Gran Bretagna: infezione dai maiali?

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 26 Settembre 2013 - 13:02 OLTRE 6 MESI FA

Epatite E, aumentano contagi in Gran Bretagna: infezione dai maiali?LONDRA – Perdita dell’appetito, stanchezza, vomito, febbre e ittero. Questi i sintomi più comuni dell’epatite E che ora spaventa la Gran Bretagna. Tra il 2011 e il 2012 i casi sono saliti del 39,5% e l‘infezione riguarda soprattutto le donne e i giovani tra i 20 e i 40 anni. Numero però approssimativo, dato che la malattia spesso si presenta senza sintomi ed è difficile da individuare.

L‘infezione viene trasmessa dal campylobacter e dal virus Hev, che possono trovarsi nell’acqua contaminata dalle feci degli animali. E se la Gran Bretagna non trova le cause dell’aumento dei contagi, i responsabili potrebbero essere proprio gli animali: maiali, polli e tacchini.

L’epatite E è la meno conosciuta e diffusa soprattutto in paesi come India, Asia, Africa, Medio Oriente e America centrale. Ma l’aumento dei casi in Gran Bretagna preoccupa le autorità inglesi, spiega Fabio Di Todaro sul Corriere della Sera:

“A differenza del passato, nel 2012 sono aumentati i casi autoctoni (da genotipo 3), sviluppati in persone che non avevano frequentato aree ad alto rischio. Ben 409 persone, in prevalenza donne, hanno infatti scoperto di essere affette dall’epatite virale, senza essersi allontanati troppo dall’Inghilterra e dal Galles. Ovvero: il 70% dei nuovi malati, rispetto a un media del 45,3% rimasta costante tra il 2003 e il 2012. Una spiegazione certa del trend di crescita non c’è, ma non avendo riscontrato contaminazione delle acque i sospetti sono concentrati sui suini”.

Il contagio da epatite E potrebbe avvenire per zoonosi, cioè per contatto con gli animali come suini, polli e tacchini. Spesso la malattia si presenta senza sintomi ed è difficile da diagnosticare, spiega a Di Todaro il dottor Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:

“L’epatite E è spesso asintomatica. Il quadro clinico si caratterizza per la perdita dell’appetito, la stanchezza, la produzione di urine scure e feci chiare, la febbre e l’ittero cutaneo”.

Se la Gran Bretagna è preoccupata, l’Italia non sembra correre rischi, spiega Anna Rita Ciccaglione, direttore del reparto epatiti virali dell’Istituto Superiore di Sanità :

“Nel periodo 2007-2010 sono stati notificati sessanta casi, il 58% dei quali di importazione. Ma è un dato sottostimato, a causa del carattere spesso subclinico dell’infezione. Quanto ai casi autoctoni dovuti al genotipo 3, non è possibile definire l’esatta proporzione a livello nazionale, poiché la definizione del genotipo virale non rientra nell’attuale procedura del sistema di sorveglianza”.

La malattia ha un incubazione di sei settimane e normalmente guarisce in due settimane, ma se contratta durante il terzo trimestre di gravidanza può essere pericolosa, spiega la Ciccaglione:

“In questo particolare periodo della vita si possono verificare episodi di epatite fulminante e complicazioni ostetriche, se l’infezione è sostenuta dai genotipi virali 1 e 2 che circolano in Asia, Africa e America centrale. Non è stato finora riportato un aumento del tasso di mortalità tra le donne in gravidanza affette da virus di genotipo 3”.

I “colpevoli” del contagio sembrano essere i suini, come dimostra uno studio inglese del 2012 pubblicato su Emerging Infectious Diseases, che ha trovato contaminazione da virus Hev nel 10% della carne suina analizzata. Luca Bucchini, esperto in sicurezza alimentare del magazine Prometeus, consiglia dunque di cuocere sempre bene la carne:

“Stiamo assistendo al passaggio da un’ipotesi di lavoro, la trasmissione della malattia attraverso gli alimenti, all’accettazione ufficiale come realtà comprovata su cui occorrerà intervenire. Per prevenire il contagio è importante cuocere bene la carne, portandola a una temperatura al cuore di almeno 71 gradi: da controllare con un termometro casalingo che verifichi l’esatto grado di calore raggiunto”.