Perché aprendo la porta non ricordiamo che dovevamo fare?

di redazione Blitz
Pubblicato il 10 Marzo 2016 - 14:55 OLTRE 6 MESI FA
Perché aprendo la porta non ricordiamo che dovevamo fare?

Perché aprendo la porta non ricordiamo che dovevamo fare?

ROMA – Vi è mai capitato di entrare in una stanza e dimenticare all’improvviso cosa ci eravate entrati a fare? Oppure, di restare imbambolati di fronte alla porta del frigo perché non ricordate più cosa stavate cercando? Non è distrazione né arteriosclerosi. Si chiama doorway effect, cioè “effetto porta d’ingresso“, ed è un comunissimo fenomeno psicologico cui più o meno tutti siamo soggetti. Il meccanismo è stato spiegato dal neuroscienziato Tom Stafford in un articolo per Bbc Future ed è utile per comprendere il funzionamento della nostra memoria.

“Immaginate di salire le scale per prendere le chiavi – scrive l’esperto – entrare nella camera da letto e dimenticare che erano proprio quelle l’oggetto che stavate cercando. Psicologicamente ciò che è successo è che il piano (“Le chiavi!”) è stato dimenticato proprio nel bel mezzo dell’attuazione della strategia (“Vai in camera da letto!”). Probabilmente il piano stesso fa parte di un piano più grande (“Preparati per andar via da casa!”) che è parte di altri piani su più larga scala (“Vai a lavoro!”, etc). Ogni livello richiede attenzione. Da qualche parte, nel muoversi attraverso questa complessa gerarchia, il bisogno delle chiavi è passato di mente perché sono sopraggiunte delle distrazioni al piano principale (andare in camera da letto, chiedersi chi ha lasciato di nuovo i vestiti sulle scale, perché stai facendo quella cosa invece di andare a lavoro e milioni di altre ipotesi)”.

Il neuroscienziato spiega che i ricordi si appoggiano su una rete di associazioni mentali, legate anche al luogo in cui ci troviamo quando le elaboriamo. Ecco allora che nel momento in cui “cambiamo” lo schema, spostandoci ad esempio da uno spazio all’altro, il castello di carte-ricordi viene giù. L’effetto porta d’ingresso entra in funzione ogni volta che obblighiamo la nostra mente a pensare più cose contemporaneamente e a fare un salto.

Nel corso della giornata, spiega ancora Stafford, “la nostra attenzione passa attraverso vari livelli, si sposta dai nostri obiettivi e ambizioni, ai piani e alle strategie per il futuro fino al livello più inferiore, alle nostre azioni concrete. Quando le cose vanno bene, spesso in situazioni familiari, manteniamo l’attenzione su ciò che vogliamo e su come ottenerlo. Ad esempio, se sei bravo alla guida userai il cambio automaticamente e la tua attenzione sarà catturata dal parlare con i passeggeri o dal traffico”. “Quando le cose, invece, escono fuori dalla routine dobbiamo spostare l’attenzione ai dettagli delle nostre azioni. Il modo in cui la nostra attenzione si muove su e giù attraverso questa gerarchia è ciò che ci permette di fare più cose contemporaneamente”.