Pollo killer, pollo grasso: perché il pollo industriale ti fa ammalare e ingrassare

di Edoardo Greco
Pubblicato il 25 Ottobre 2016 - 11:17 OLTRE 6 MESI FA
Pollo killer, pollo grasso: perché il pollo industriale ti fa ammalare e ingrassare

Pollo killer, pollo grasso: perché il pollo industriale ti fa ammalare e ingrassare

Si può morire per un pollo arrosto? Ogni anno ci sono (solo in Gran Bretagna) 500.000 casi di intossicazione alimentare e 100 decessi, provocati dai batteri che si annidano nella carne di pollo. Sono gli inquietanti risultati di un’inchiesta del Daily Mail che riguardano le conseguenze del consumo di polli prodotti in allevamenti intensivi in Gran Bretagna.

Nella periferia di York, in una area grande il doppio dello stadio di Wembley, sta per essere realizzato un allevamento per soddisfare l’ossessione del pollo a buon mercato. Se verrà concesso il permesso di costruire, verranno realizzati sei hangar, ciascuno dei quali misura 112 metri per 20, con accanto una caldaia alimentata a legna, un deposito dove tagliare la legna e dei silos per il mangime.

A quel punto, inizierà la produzione. Il primo giorno, verranno consegnati 288.000 pulcini che passeranno il resto della loro breve esistenza all’interno dei capannoni senza finestre: praticamente mangeranno notte e giorno.
Dopo appena cinque settimane (cioè un terzo del tempo necessario per la crescita di una patata) i polli avranno raggiunto il peso giusto.
Verranno radunati e spediti alla macellazione e alla lavorazione.
I capannoni a quel punto vengono puliti e disinfettati e ricomincia il “ciclo di crescita” di altri pulcini.
In un anno, questo processo consente la produzione di più di 1,5 milioni di polli messi in vendita nei supermercati e fast food inglesi.

Il motivo? Gli inglesi, scrive il Daily Mail, non riescono a produrre le quantità di pollo a basso prezzo che servono a soddisfare il crescente fabbisogno della popolazione. L’anno scorso, in media a persona, c’è stato un consumo 35.4 kg di pollo, il doppio del consumo pro-capite di carne bovina .Circa 400.000 tonnellate di pollo sono importate da paesi lontani, come la Thailandia e il Brasile.

Un pollo intero al supermercato costa 2,50 sterline, che in Inghilterra è il prezzo di un caffè. Ma il basso prezzo corrisponde a una scelta sana? Per produrre polli a basso prezzo si ricorre all’allevamento intensivo, che è sotto accusa perché ritenuto una fabbrica di superbatteri trasmissibili all’uomo e resistenti ormai a quasi tutti i tipi di antibiotico.

Il Campylobacter, la cui presenza è quasi nei tre quarti di polli venduti nel Regno Unito, è la principale causa di intossicazione alimentare con più di 500.000 casi l’anno, 80.000 visite dal medico di base e circa 100 decessi. E dire che uno dei motivi del crescente consumo di pollo è proprio il fatto che sia ritenuto una carne “sana”.

Il Campylobacter viene distrutto nel processo di cottura ma le contaminazioni avvengono spesso per mezzo di posate o recipienti utilizzati per la carne cruda e in seguito a contatto con altri alimenti: per questo motivo è indispensabile lavare le mani.
Nella maggior parte dei casi, i sintomi di intossicazione alimentare da Campylobacter comprendono diarrea, crampi allo stomaco e una sensazione di malessere generale che dura una settimana ma possono subentrare complicazioni, soprattutto tra anziani e malati.
Quattro polli su 5 sono contaminati: il batterio solitamente si annida nell’intestino.

I cosiddetti polli ruspanti hanno le stesse probabilità di avere il batterio quanto quelli di allevamenti intensivi ma il problema è che negli allevamenti intensivi il virus si diffonde rapidamente, poiché il mangime è contaminato dalle feci.

La trasmissione all’uomo? Il momento chiave è quando il pollo viene macellato e confezionato. Durante questo processo, il batterio può essere trasferito dall’intestino all’esterno del corpo e all’imballaggio.

Quanto sia diffuso il batterio, emerge da alcuni test effettuati dalla Food Standards Agency. La FSA ha scoperto che il 73% dei polli in commercio nel biennio 2014-15 avevano il campylobacter.

Altrettanto preoccupante è il fatto che il 75% dei batteri erano resistenti ad almeno un antibiotico o antimicrobico. Il 5% è risultato resistente alla gran parte degli antibiotici di uso comune: il che significa che se ci si ammala a causa di un pollo contaminato, è più complicato trovare la cura adatta.

Secondo i dati, ogni anno più di 450 milioni di polli venduti nel Regno Unito sono contaminati da Campylobacter, resistente ad almeno un antibiotico importante. E 36 milioni sarebbero portatori di batteri resistenti a una vasta gamma di antibiotici.

Ma il Campylobacter non è l’unica sgradita sorpresa che si può trovare nella carne dei polli. Il mese scorso, il Mail ha pubblicato uno studio dell’University of Cambridge in cui emerge che i polli venduti nei supermercati, hanno il super batterio E.coli (escherichia coli).

Per gli studiosi il problema dei polli provenienti da allevamenti intensivi non è solo il rischio di contrarre malattie. Questo tipo di allevamento, nutrendo i polli con una dieta a base di solo grano e limitando moltissimo il movimento dell’animale ha compromesso i benefici nutrizionali della carne di pollo.

In uno studio del 2005, il professor Michael Crawford, docente dell’Imperial College e direttore dell’Institute of Brain Chemistry and Human Nutrition, ha scoperto che il pollo così com’è allevato oggi, ha gli stessi grassi di un “Big Mac” (il noto hamburger doppio di McDonald’s).

Confrontato con un pollo del 1940, quello odierno ha il doppio in più di grasso, ha un terzo in più di calorie e un terzo in meno di proteine. Così sono cambiati i polli dalla seconda guerra mondiale ad oggi. C’è da chiedersi cosa hanno i serbo i prossimi 50 anni per i miliardi di polli che saranno allevati.