Protesi seno Pip: 5 mila italiane verso class action. Tempo fino al 31/03

di redazione Blitz
Pubblicato il 27 Gennaio 2015 - 06:04 OLTRE 6 MESI FA
Protesi seno Pip: 5 mila donne italiane verso class action. Tempo fino al 31/03

Protesi seno Pip: 5 mila donne italiane verso class action. Tempo fino al 31/03

ROMA – Sono 5 mila, in Italia, le donne che hanno diritto a un risarcimento per le Pip, le protesi mammarie di fabbricazione francese risultate pericolose. In attesa che il processo penale nei confronti del fondatore dell’azienda, che si sta svolgendo a Torino, faccia il suo corso, lo studio legale torinese Ambrosio & Commodo ha iniziato a raccogliere le adesioni per una class action contro i vertici della transalpina Poly Implant Prothese di La Seyne sur Mer, chiusa nel 2010.

E’ stato il tribunale commerciale di Tolone, condannando l’ente certificatore delle protesi Tuev Rheinland a una provvisionale di tremila euro per ognuna delle 1.672 donne francesi che hanno intrapreso l’azione legale, a stabilire la possibilità di ottenere un risarcimento. Il 26 marzo si aprirà, sempre in Francia, il processo d’appello. Un secondo round, davanti allo stesso tribunale commerciale francese, è inoltre previsto a breve.

Per le donne italiane che intendono costituirsi in giudizio c’è tempo fino al 31 marzo. Tra coloro che raccolgono le adesioni a livello internazionale, che sono già oltre 3mila, c’è il Global Justice Network, di cui fa parte appunto lo studio legale torinese Ambrosio & Commodo, che sta raggruppando quelle delle donne italiane.

Le Pip sono state impiantate a centinaia di migliaia di donne in vari Paesi d’Europa. Nel processo in corso a Torino gli imputati sono il fondatore dell’azienda francese, Jean Claude Mas, già condannato dal tribunale di Marsiglia a quattro anni di carcere per truffa aggravata, e un dirigente, Claude Couty. Il pm Raffaele Guariniello ipotizza il reato di frode in commercio e violazione del codice del consumo in relazione a un centinaio di vicende. Si tratta, in prevalenza, di donne di Torino e provincia, poi ospedali come Molinette, Gradenigo e Cottolengo, studi e laboratori medici.

Le protesi erano “pericolose”, sempre secondo l’accusa, perché c’era il rischio di trasudamento del gel e persino di rottura dell’involucro che lo conteneva. Per la costruzione degli apparecchi, sempre secondo l’accusa, veniva adoperato un gel preparato dalla stessa Pip invece di quello indicato nel fascicolo tecnico (il Nusil Med-3) che aveva permesso al prodotto di ottenere la certificazione di conformità Ce.