Tac e risonanze, i rischi degli agenti di contrasto. Restano nel cervello?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Settembre 2017 - 05:00 OLTRE 6 MESI FA
Tac e risonanze, i rischi degli agenti di contrasto. Restano nel cervello?

Tac e risonanze, i rischi degli agenti di contrasto. Restano nel cervello?

ROMA – Gli agenti di contrasto utilizzati per tac e risonanze rimangono nel cervello? Un nuovo studio mette sotto accusa il gadolinio, un metallo pesante presente in diversi mezzi di contrasto, che non verrebbe del tutto espulso dal corpo ma resta depositato nel cervello. Per questo motivo l’Ema, il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza europeo, ha lanciato un warning e disposto nuove linee guida che ne limitino l’utilizzo nei pazienti che devono sottoporsi a questo tipo di esami.

Nicla Panciera sul quotidiano La Stampa scrive che a scatenare i dubbi sul mezzo di contrasto è lo studio pubblicato sulla rivista Lancet Neurology e condotto dalla International Society for Magnetic Resonance in Medicine (ISMRM) che ha fornito nuove linee guida per il loro utilizzo, sottolineando il rischio che si depositi nei nuclei della base e nei nuclei dentati del cervelletto e a preoccupare è l’effetto cumulativo:

“Il gadolinio è un metallo pesante che interagisce con il campo magnetico della risonanza e viene così facilmente visualizzato nelle immagine della scansione RM, determinando un «contrasto» appunto tra le zone dove esso è presente e dove invece non c’è. Il suo uso è necessario e fondamentale in alcune indagini dove altrimenti sarebbe impossibile fare una diagnosi, come nel caso di tumori cerebrali, infiammazioni, alcune indagini vascolari, solo per citare alcuni casi.

Essendo molto tossico, viene utilizzato in forma «chelata», ovvero legato ad una struttura complessa che permette la sua espulsione. Questi chelati possono avere strutture lineari o macrocicliche. L’espulsione avviene tramite i reni o in alcuni casi tramite il fegato: ecco perché prima di fare l’esame RM con mezzo di contrasto vengono richiesti gli esami di funzionalità renale. Ad oggi, infatti, l’unico effetto sanitario avverso connesso alla ritenzione di gadolinio è una condizione rara chiamata fibrosi sistemica nefrogenica (NSF) che si verifica in un piccolo sottogruppo di pazienti con insufficienza renale.

Se dunque fino a poco tempo fa si riteneva che i reni e il fegato riuscissero ad espellere completamente dall’organismo il gadolinio, ora gli studi mostrano evidenze diverse e per questo motivo sono scattate le limitazioni dall’ente di farmacovigilanza dell’Ema:

“Lo scorso luglio, il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (PRAC) dell’EMA ha raccomandato la sospensione delle autorizzazioni all’immissione in commercio di quattro mezzi di contrasto lineari. Pur non essendoci alcuna evidenza certa di danni causati da questo deposito, l’EMA ha optato per un’azione preventiva, dettata dall’evidenza che piccole quantità del gadolinio in essi contenuto si depositano nel cervello.

I mezzi di contrasto coinvolti dalla proceduta sono l’acido gadobenico, il gadodiamide, l’acido gadopentetico e il gadoversetamide per via endovenosa. Inoltre, gli agenti lineari acido gadossetico e acido gadobenico devono essere utilizzati solo per le scansioni epatiche nei casi di importante necessità diagnostica e l’acido gadopentetico dovrebbe essere utilizzato solo per le scansioni articolari vista la bassa concentrazione di gadolinio usata nella formulazione”.

Le autorità sanitarie statunitensi, davanti al potenziale rischio per la salute, ma al contrario dell’Ema non hanno imposto limitazioni:

“Nel recente aggiornamento delle raccomandazioni all’uso del gadolinio del 2015, la FDA «non ha rilevato effetti negativi sulla salute del gadolinio accumulato nel cervello». Le autorità sanitarie ribadiscono un concetto che è valido per qualunque tipo di farmaco: il ricorso al mezzo di contrasto, che è fondamentale in molti casi, va fatto solo quando è effettivamente necessario”.