Tumore alla vescica: le sigarette aumentano il rischio per gli uomini

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Aprile 2017 - 09:05 OLTRE 6 MESI FA
Tumore alla vescica: le sigarette aumentano il rischio per gli uomini

Tumore alla vescica: le sigarette aumentano il rischio per gli uomini (foto Ansa)

ROMA – Le sigarette aumentano il rischio, negli uomini, di contrarre il tumore alla vescica. Nel nostro Paese fino al 65% dei casi di tumore della vescica negli uomini è correlato all’abuso di fumo di sigaretta. Il dato è emerso in un incontro dedicato a questa neoplasia e organizzato dalla Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO). Il tumore della vescica, hanno ricordato gli esperti, è il quarto tumore più frequente nei maschi e l’undicesimo nelle donne. L’incidenza globale della malattia in Italia è in lieve aumento, tanto che, dal 2030 si attendono più di 35 mila nuovi casi ogni anno.

“Le differenze di genere in questa patologia sono abbastanza evidenti – afferma Renzo Colombo, urologo e Coordinatore di Area Uro-Oncologica dell’Ospedale San Raffaele di Milano – Ogni anno in Italia si ammalano 21.000 uomini e 5.000 donne. Tuttavia, rispetto al passato, mentre oggi l’incidenza di questa malattia negli uomini è in riduzione, nelle donne risulta in sensibile aumento”.

Il fumatore, spiega l’esperto, ha un rischio di sviluppare la malattia che è quasi cinque volte superiore rispetto ad un non tabagista. Il vizio, storicamente quasi esclusivamente maschile, è negli ultimi anni in deciso aumento tra le donne italiane e questo può spiegare l’aumento dei casi femminili. Smettere definitivamente di fumare riduce significativamente il rischio di sviluppare un carcinoma della vescica dopo dieci anni, tuttavia anche dopo 20 anni dalla sospensione il rischio rimane comunque superiore a quello di coloro che non hanno mai fumato. Varie le possibili terapie contro il tumore della vescica: dalla chemioterapia alle nuove prospettive aperte con l’immunoterapia, dalla chirurgia personalizzata alla radioterapia.

“L’immunoterapia con l’utilizzo degli anticorpi monoclonali – aggiunge Andrea Necchi, Dirigente medico del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto nazionale tumori di Milano – che hanno come bersaglio il PD-1 o PD-L1 (due proteine in grado di influenzare la risposta immunitaria) ha dimostrato nell’arco dello scorso anno di potere cambiare la storia del trattamento dei pazienti con malattia avanzata”.