Impronte digitali e Dna: per incastrare un killer potrebbero non bastare…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Aprile 2014 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Impronte digitali e Dna: per incastrare un killer potrebbero non bastare...

Impronte digitali e Dna: per incastrare un killer potrebbero non bastare…

ROMA – Le impronte digitali e il Dna non bastano a incastrare un presunto assassino. Due nuove ricerche rimettono in dubbio tutte le certezze della scienza forense e potrebbero riscriverne le regole.

Secondo Mike Silverman, inventore del sistema di rilevamento delle impronte digitale automatizzato, le impronte non sarebbero uniche. Non una ricerca, quella di Silverman, ma più un avvertimento: non esistono prove che le impronte digitali siano uniche, motivo per cui considerarle affidabili potrebbe portare a trarre conclusioni errate.

Ma se viene meno l’equazione impronta digitale combaciante e assassino, in un ipotetico delitto e in una ipotetica scena del crimine, si potrebbe sempre ricorrere all’inconfutabile Dna. Questo il pensiero che potrebbe arrivare, ma che di nuovo potrebbe trarre in inganno secondo i ricercatori dell’università Sapienza di Roma.

Un nuovo studio, coordinato dai genetisti Antonio Filippini e Carla Vecchiotti, ha evidenziato infatti come il Dna ritrovato su una, sempre ipotetica, scena del crimine potrebbe non appartenere all’ipotetico assassino. Il motivo? La traccia biologica rinvenuta sulle ipotetiche vittime potrebbe essere il frutto di un trasferimento di Dna da una terza persona, che sul luogo dell’ipotetico delitto non ha però mai messo piede.

“IMPRONTE NON UNICHE” – Errori umani, stampe parziali e falsi positivi. Questi solo alcuni degli inconvenienti che potrebbero, spiega Silverman, rendere inaffidabili come prove le impronte digitali. Nessuno, ad oggi, ha mai dimostrato scientificamente che non esistono “doppioni” tra le impronte digitali, o che i membri di una stessa famiglia possano avere dei tratti comuni, motivo per cui questa circostanza non può essere esclusa.

Silverman spiega:

“Ci sarebbero poi altri problemi, come le difficoltà di scansione delle impronte digitali delle persone anziane, man mano che la loro pelle perde elasticità, per non considerare poi quelle rare condizioni in cui le persone hanno le dita lisce”.

Non è possibile dunque dimostrare, conclude Silverman, che non esistono due impronte digitali esattamente uguali:

“Potrebbe trattarsi di un caso raro, come vincere una lotteria. E’ un evento improbabile, eppure accade ogni settimana”.

“DNA TRASFERITO” – Anche il Dna rinvenuto su una scena del crimine non costituisce necessariamente la firma genetica dell’assassino: la traccia biologica può appartenere anche a persone che non sono mai state sul luogo del delitto, e può arrivare semplicemente perché ‘trasferita’ da altri. I genetisti Filippini e Vecchiotti, dell’Università Sapienza di Roma, invitano dunque a ripensare il ‘peso’ della prova del Dna in molti processi penali anche famosi.

Finora si era portati a pensare che il cosiddetto ‘touch Dna‘, ovvero il Dna che viene lasciato toccando oggetti o persone, potesse costituire una prova inconfutabile di colpevolezza. In realtà, gli studiosi della Sapienza hanno scoperto che l’impronta biologica di un individuo può trovarsi su un oggetto o una persona che non ha mai toccato, ma nella quale è stata semplicemente ‘trasferita’ da altri.

Il motivo risiede nel fatto che il ‘touch Dna’ non sarebbe rilasciato dalle cellule dello strato più superficiale della pelle, ma dalle ghiandole sebacee, concentrate soprattutto nelle regioni pilifere del corpo umano. Dato che palmo delle mani non sono presenti ghiandole sebacee, il touch Dna è solo veicolato dalla mano che lo ha prelevato da un’altra parte del corpo, il proprio o quello di un altro individuo: motivo per cui profilo genetico rilevato sull’oggetto non coincide necessariamente con quello della mano che l’ha toccato.