Il personal branding, Narciso e Lacan: “L’ossessione del presente” nei social network

di Francesca Quaratino
Pubblicato il 6 Ottobre 2012 - 08:00| Aggiornato il 25 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Sui social network “You sell yourself first, your company second, and your product third”, dice Barbara Bradley Baekgaard co-fondatrice di Vera Bradley, azienda di abbigliamento dell’Indiana, famosa per le sue borse colorate.

L’ho letto nel flusso di tweet della Conference for Women di Philadelphia e me le sono appuntate. Come tutto ciò che si scrive con la penna, la frase ha iniziato a risuonare nel quotidiano.
Risuonava mentre ero su Facebook, su Twitter, su Instagram e su FourSquare.
Per ogni parola che scrivevo, pensavo: dove sono io? Dove la mia azienda? Dove il mio prodotto?
L’esercizio ha funzionato perchè, oltre ad avere me stessa, ho anche un’azienda e un prodotto.
Dopo averlo applicato a me stessa, ho tentato l’esperimento sui miei contatti.
Il risultato è stato impressionante.

Oltre l’80% di coloro che conosco non ha aziende e prodotti. Di questo 80%, il 60% si ferma, consapevolmente, al primo punto. Il restante 40%, si comporta come se fosse un’azienda e anche un prodotto. Di questo 40%, solo il 20% fa un mestiere in cui ha senso applicare il personal branding (giornalisti free lance, consulenti, responsabili della comunicazione di qualcuno o qualcosa, musicisti…). Il restante 80% si occupa di altro.

In questi casi, a cosa serve l’immane fatica del personal branding sui social?
Probabilmente a nulla. Altrettanto probabilmente, questa componente umana è la prima vittima conclamata del “qui e ora” dei social network dove uno straccio di presenza riconosciuta sancisce, nel tempo presente, l’esistenza.

Ora, ciò che preoccupa, è proprio l’Ossessione del Presente con le sue conseguenze: la chiusura narcisistica e l’autoconservazione cinica. Temi che meriterebbero di essere affrontati prima che assumano il tratto di una patologia in grado di fare secche teste buone, colte e interessanti per il futuro del Paese.

Il “qui e ora”, come si sa, non dura. E il Futuro è un concetto che ha senso se lo si popola di desideri, che non trovano spazio nel narcisismo condito di cinismo (bisognerebbe leggere il Lacan raccontato da Massimo Recalcati, a tempo perso).
C’è una larga fetta della generazione tra i 30 e i 40 anni che sta rinunciando, patologicamente, a desiderare, concentrando energie intellettuali ed emotive su un presente agito in luoghi che oggi si chiamano Twitter (per parlare del social network narciso per eccellenza), talmente fragili da crollare domani.

Dispiace dirlo, ma se queste intelligenze si bruciano oggi, non serviranno a nulla in futuro. Non possiamo permettercelo.
E ora pensiamo intensamente “lo specchio si rompe” e agiamo di conseguenza.

@Fraq