Muro di Berlino: milioni di frammenti sparsi in tutto il mondo, ricordo della Guerra Fredda

Pubblicato il 21 Settembre 2009 - 10:08 OLTRE 6 MESI FA

muro_di_berlinoAll’ombra del Parlamento europeo è rispuntato un pezzo del muro di Berlino. Le guide turistiche raccontano che è lì dall’aprile 2004, da quando lo hanno estirpato da Potsdamer Platz per celebrare le nozze delle giovani democrazie dell’ex Oltrecortina con l’Unione a dodici stelle. Fino a qualche settimana fa, però, era come se non ci fosse. Lo vedeva solo chi sapeva dove cercarlo. Oltre la cancellata di rue Wiertz, gli arbusti cresciuti nel disinteresse dei giardinieri ne nascondevano la vista, coprendo anche il sentiero che consentiva di raggiungerlo. Adesso il monumento discreto del Parc Leopold è stato ripulito. L’erba è corta, non ci sono più lattine o cartacce: tutto è pronto per celebrare il ventennale della notte che ha cambiato la storia dell’Europa.

Quando il 9 novembre 1989 cadde la frontiera di cemento armato fra Berlino Est e Berlino Ovest, simbolo assoluto della Guerra Fredda, il muro esplose in milioni di frammenti. Le 45 mila sezioni rettangolari – alte 3,6 metri e larghe 1,2 – cominciarono ad essere scolpite e perforate. Lungo i 150 chilometri della grigia barriera, la gente si contese le reliquie che riusciva faticosamente a staccare, souvenir di un momento sarebbe diventato storico. In giro si affermò un mestiere mai visto, l’affittamartelli: per qualche marco occidentale ti davano l’attrezzo con cui scolpivi da solo il tuo ricordino. Meglio se con annessa traccia di graffito.

«Die Mauer» fu smantellato in fretta come era stato costruito nell’agosto ’61. La capitale tedesca ne conserva qualche brandello qui e la, più una lunga sezione sulla Sprea nei pressi della Ostbahnhof. In città il tracciato è segnato con la pietra nell’asfalto, un percorso della memoria che ricorda tragedie ancora vicine, la sorveglianza armata, la terra di nessuno, le cinquemila fughe riuscite e i duecento ammazzati mentre ci provavano. Il grosso delle lastre di cemento armato è stato usato per lastricare strade. Una piccola parte è invece finita dove gli ingegneri della Rdt non avrebbero immaginato: nel resto d’Europa, negli Stati Uniti, in Canada, persino in Sud Africa.

Sono una trentina le sentinelle sbrindellate della memoria sparpagliate per il globo, col tubo che fa loro da cappello, dritte come il controverso totem di “2001, Odissea nello Spazio”. Alla stregua del monolite di Kubrick solleticano la voglia di conoscenza, ricordano come l’uomo ha diviso gli uomini e come altri hanno provato a farsi beffe di chi aveva ordito l’orribile trama. Le pitture, trovata geniale. A Bruxelles fra cento colori c’è la scritta «DR» che decapita la «DDR», la Repubblica democratica che separò i tedeschi dell’Est dai fratelli dell’Ovest. A Londra, all’Imperial War Museum, due occhi spiritati spuntano urlando: «Change your Life». Cambia la tua vita!

E’ successo. Il “wall” ha fatto il giro del “world”, non sempre all’altezza delle aspettative. Sulle rive del Tamigi, esposte a Nord come denuncia la muffa verdastra, tre sezioni del muro firmate da Tanya, James e Lara sono all’esterno del National Army Museum. Pezzi anonimi. Come il trio di lastre un po’ stanche finite nel mezzo di una fontana del Parque de Berlín di Madrid.

Niente a che vedere col tesoro dei giardini vaticani. Una sola sezione, con un filo d’acciaio che pare un capello ribelle che spunta dalla chiesa berlinese di San Michele. L’opera è di due architetti, il viennese Yadegar Asisi e il berlinese Bernhard Strecker, che la dipinsero nel 1986 nei pressi di Waldemar Strasse. Il pezzo fu comprato a un asta a Montecarlo e donato a Giovanni Paolo II in omaggio al ruolo morale avuto nell’abbattimento della Cortina. E’ decisamente meglio di quello poco invitante del santuario di Fatima in Portogallo che, va detto, non vale il viaggio.

Più lontano si va è più il muro traslocato fa impressione. Sorprendono le tre stele lungo il Cheonggyecheon, l’infinito viale che taglia il centro di Seoul, la capitale della Corea. Ma anche la singola sezione atterrata chissà come nel parcheggio del German Club di Narrabundah, alla periferia di Canberra, in Australia. Storie nella storia. Una rivela che l’America che la fa da padrona, con la collezione più bella e numerosa.

Oltreoceano il muro è ovunque. In California, in Georgia, a Seattle, nella Carolina del Nord, a Portland nel Maine, nel Sud Dakota, nel Nevada e nel Texas. Le grandi istituzioni dell’impero a stelle e strisce non si sono fatte mancare il gadget più straordinario del crollo del comunismo. Un piacere sopraffino, oltre che un’attrazione turistica. In fondo fu Ronald Reagan, in piedi davanti alla porta di Brandeburgo, a gridare “Gorbaciov, abbatti il muro di Berlino!”. Era il 12 giugno 1987.

La mania per “Die mauer” fa di New York una seconda Berlino. Ne ha quattro sezione sparse per la città. E’ magnifica, un cuore con gli occhi, quella illustrata a Kreuzberg dal tedesco Kiddy Citny che adesso si staglia all’ingresso dell’Intrepid Sea-Air-Space Museum. Altre sono al Gateway Plaza, alla North Cove Marina e a Battery Park. Quest’ultima, raffigura una faccia verde e blu che pare una gallina. E’ di Thierry Noir, un francese stregato da Berlino, dal muro e dalla musica di Bowie. Un piccolo capolavoro.

Va da sé che le cinque sezioni schierate sulla 53° Strada, fra Quinta e Madison, hanno sapore particolare. Le ha dipinte lo stesso Noir e Wim Wnders le ha filmate prima che tutto accadesse. Le si vede nel film «Il cielo sopra Berlino» (1987) poco dopo l’attimo in cui Bruno Ganz semtte di vedere in bianco e nero. Noir è su una scala, osservato dall’angelo Damiel. Il muro sarebbe caduto due anni dopo. La Germania sarebbe stata unita il 3 ottobre del ’90. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia sarebbero entrate nell’Ue quattordici anni più tardi. In quella scena sospesa, un po’ a colori e un po’ no, sembra quasi di poterlo intuire.