Ultras Atalanta, spaccio e rapine: 20 arresti, anche figlio magistrato Buonanno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Marzo 2017 - 08:15 OLTRE 6 MESI FA
Ultras Atalanta e spacciatori: 20 arresti, cocaina nello stadio di Bergamo

Ultras Atalanta e spacciatori: 20 arresti, cocaina nello stadio di Bergamo (foto d’archivio Ansa)

BERGAMO – Ultras dell’Atalanta accusati di essere spacciatori. E’ in corso una vasta operazione in provincia di Bergamo contro numerosi soggetti (almeno una ventina, scrive l’Ansa) ritenuti responsabili di traffico e spaccio di droga, estorsione, rapina e resistenza a pubblico ufficiale. Dalle indagini – condotte dalla Squadra mobile di Bergamo e dallo Sco della Polizia di Stato – è emerso che il gruppo, in prevalenza ultras nerazzurri, prima di assistere alla partita, acquistava e assumeva cocaina nei pressi o anche dentro lo stadio, incappucciandosi poi per compiere azioni violente.

E’ coinvolto anche il figlio del procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno nell’inchiesta della Procura di Bergamo che ha fatto luce su un giro di droga nei pressi dello stadio Azzurri di Italia. Francesco Buonanno, tra gli indagati, ha avuto la misura cautelare dell’obbligo di firma disposta dal gip. Il figlio del magistrato dovrà presentarsi il sabato e la domenica in questura a Bergamo per firmare. In mattinata le forze dell’ordine hanno effettuato una perquisizione a casa del figlio del magistrato.

Le indagini, avviate nel settembre del 2015, hanno consentito di acquisire gravi elementi indiziari a carico di un gruppo di italiani, nonché di un cittadino albanese e di uno serbo, in prevalenza ultras dell’Atalanta, dediti alla cessione di ingenti quantitativi di droga, anche tra i tifosi della tifoseria stessa. Tra gli indagati anche un settantatreenne e un sessantatreenne. La modalità di azione, con il consumo di droga nei pressi dello stadio seguito dalle violenze, è stato accertato anche prima degli scontri avvenuti, nel gennaio 2016, nel centro di Bergamo, dopo la partita contro l’Inter, che ha portato a contestare anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale, riconducibile a condotte violente attuate al termine dell’incontro.

L’operazione, chiamata ‘Mai una gioia’, prende il nome dallo slang e dal linguaggio in codice tipico usato dagli arrestati, i quali erano soliti ripetere come un mantra la frase, riportata anche in uno striscione in curva.