Atletica/ “Caster Semenya è un ermafrodito”, la rivelazione shock dell’ex allenatore al tabloid svizzero Blick. Dall’Olimpo ai sonetti in vernacolo, l’icona androgina seduce e diverte la cultura Occidentale

Pubblicato il 21 Agosto 2009 - 17:56 OLTRE 6 MESI FA

L’atleta sudafricana Caster Semenya, vincitrice mercoledì sera degli 800 metri ai mondiali di Berlino, è un ermafrodito. Lo rivela oggi il tabloid svizzero Blick, che ha appreso la notizia da un ex allenatore dell’atleta sudafricana, dietro garanzia dell’anonimato.

La fonte spiega che dai test effettuati in Sudafrica a marzo «il risultato era chiaro. Semenya non avrebbe dovuto essere in gara a Berlino con le donne, ma i suoi funzionari sportivi hanno deciso di correre il rischio». Secondo il giornale svizzero, l’atleta sudafricana è una «vittima di funzionari criminali» a caccia di fama e onori, poiché i risultati dei test sarebbero stati nascosti alla stessa Semenya ed alla sua famiglia.

La fonte del giornale svizzero formula precise accuse nei confronti di Ekkart Arbeit, ex allenatore capo degli atleti della Ddr, il quale «sapeva cosa fare, per far partecipare Semenya a tutte le gare disputate finora». Secondo questa accusa, la velocista sudafricana sarebbe stata trattata con medicinali adatti a far scendere il suo livello di testosterone, in modo da non risultare maschio ai controlli antidoping.

Arbeit ha invece contestato le accuse nei suoi riguardi, spiegando di essere all’oscuro di tutto. «Io non so nulla – ha affermato – sono tutte sciocchezze ed è un’indecenza non rendere noto il nome della fonte di queste affermazioni».

Il quotidiano tedesco Bild rivela intanto che in Germania nascono ogni anno 120 ermafroditi, la maggior parte dei quali si sottopone ad operazioni chirurgiche per scegliere uno dei due sessi dei quali li ha dotati madre natura.

Il fenomeno della doppia sessualità, in realtà, è conosciuto fin dall’antichità: nella civiltà greca, Ermafrodito era la divinità nata dall’unione di Ermes e Afrodite. Circuito dalla ninfa Salmace, che lo amava ma  – non essendo ricambiata – lo attirò per gioco in acqua e chiese agli dei di poter restata unita a lui per sempre, Ermafrodito diventò un essere metà uomo e metà donna.

Le radici profonde del mito si rintracciano, però, in Oriente e più precisamente in Siria, dove nacque il culto dell’androgino. Visto da Platone come l’essere completo, anteriore alla scissione tra maschile e femminile, l’ermafrodito rappresentava l’unione degli opposti a cui gli altri due sessi tendevano irrimediabilmente.

Icona di bellezza e perfezione, l’essere androgino è un leitmotiv della scultura classica e, soprattutto, ellenistica. Tanto cruciale da essere costantemente ripreso nei secoli successivi, dall’età romana (come testimonia, ad esempio, la statua dell’Ermafrodito, a cui è dedicata un’intera sala della Galleria degli Uffizi) al ‘600 del maestro Gian Lorenzo Bernini, che restaurò il celebre Ermafrodito oggi esposto al Louvre.

Anche la letteratura ha spesso tratto ispirazione dall’unione dei due sessi, anche se – a volte – in tono di scherno. Come nel caso del poeta ottocentesco Giuseppe Gioachino Belli, che dedicò uno dei suoi sonetti in vernacolo romanesco proprio a “Li Manfroditi”: «ommini e ddonne appiccicati inzieme» che «ssi jje viè er crapiccio d’annà in frega cazzo e ffreggna je sta ccas’e bbottega pe ddà ar bisogno e ppe rrisceve er zeme».