Rio 2016, il dramma di Vincenzo Nibali: cade a un passo dall’oro

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Agosto 2016 - 23:38 OLTRE 6 MESI FA

Rio 2016, il dramma di Vincenzo Nibali: cade a un passo dall'oro

Rio 2016, il dramma di Vincenzo Nibali: cade a un passo dall’oro.
Foto Ansa

RIO DE JANEIRO – La gloria dei Giochi lì ad un passo, poi una scivolata gli ‘strappa’ via dal collo una medaglia ormai certa e gli chiude in faccia la porta dell’olimpo. A Vincenzo Nibali non restano che le lacrime sul bordo della strada, per aver buttato nuovamente come al mondiale nel 2013 una grande occasione, e una doppia frattura: una “prossimale” al collo e una “distale”. “Mi dispiace molto per i miei compagni – ha confessato il siciliano – I ragazzi sono stati grandi: una squadra vera la nostra”. Nell’olimpo con merito ci entra invece il belga Van Avermaet beffando sul lungo rettilineo di Copacabana il polacco Majka, unico a rimanere in piedi nella fuga a tre con Nibali e Henao, prima di essere raggiunto proprio sul lungomare di Copacabana. Vincenzo Nibali è seduto sul ciglio della strada, resta in silenzio per qualche minuto, giusto il tempo di veder sfilare in ammiraglia il ct Cassani: i due si guardano per un momento, non c’è spazio per le parole.

Il morale è a pezzi, la corsa è andata, e insieme anche la possibilità di entrare nella storia a cinque cerchi regalando all’Italia la medaglia d’oro numero 200: Vincenzo lo sa, scuote la testa, non dice nulla. Non prova nemmeno a rialzarsi, si tocca la spalla, non trattiene qualche lacrima, un po’ di rabbia, un po’ di dolore, realizza che il suo giorno perfetto è diventato il peggiore della sua carriera. “Non servivano parole – ha raccontato poi a freddo il commissario tecnico – ci siamo guardati solo un attimo, ma era muto. Non ci siamo detti niente, aveva il morale a pezzi”. Una caduta proprio in discesa, terreno amato dal siciliano quasi quanto le salite, fino all’ultimo Tour dove è finito per terra sulle Alpi bagnate dalla pioggia e il giorno dopo è rimasto bloccato proprio sul terreno da lui preferito. Un blocco psicologico che il siciliano sembrava aver superato seguendo Aru proprio in discesa con un attacco a 30 km dal traguardo di Copacabana.

In quel momento l’azzurro era in fuga con il polacco Majka e il colombiano Henao, e proprio quest’ultimo è scivolato sull’asfalto dentro la foresta insieme a Nibali, in un finale da ecatombe che ha riservato identico destino al britannico Geraint Thomas, mentre nel giro precedente di un circuito estremo erano finiti a terra pure Richie Porte e Oliveira. Nibali ha chiuso la sua giornata in ospedale per accertamenti: ha preso un colpo duro alla spalla e alla gamba. La gara azzurra, su un terreno per scalatori, è stata perfetta fino a quella maledetta curva della discesa del circuito di Vista Chinesa che ha chiuso ogni speranza.

“Abbiamo dominato la corsa – ha ammesso il ct Cassani – i ragazzi sono stati perfetti, mettendo in atto da manuale il nostro piano per l’oro”. Grazie al grande lavoro di Caruso e De Marchi, la squadra italiana era riuscita a portare Aru e Nibali nel gruppetto dei migliori sull’ultima salita, al termine di sei ore di corsa massacrante come mai si era visto nella storia dei Giochi. A quel punto, potevano decidere solo le gambe, non certo le strategie. Intanto i campioni più attesi sparivano dalla corsa uno alla volta, un po’ come ‘i dieci piccoli indiani’: Froome e Rodriguez, Valverde e Uran, nel momento in cui Nibali ha cominciato ad attaccare, sono rimasti impotenti nelle retrovie: gli hanno resistito solo il polacco Majka e il colombiano Henao. Ma il siciliano sapeva di dover arrivare da solo in cima all’ultima rampa di Vista Chinesa per scongiurare un arrivo in volata. Ci ha provato più volte, ma non è riuscito a staccarli.

A questo punto si è buttato a testa bassa in discesa, forse ha spinto troppo, ha osato oltre il limite, finendo per terra sul bordo strada come nel mondiale di Firenze 2013, corso anche quella volta da favorito e perso per una caduta nel finale, esattamente come a Rio. Una gara spietata corsa in una cornice unica: l’oceano, le spiagge di Ipanema e Copacabana, la foresta, i grattacieli. Quaranta chilometri di salita su 237 complessivi, 4 mila metri di dislivello come in nessuna grande classica del nord, forse solo qualche tappone del Giro o del Tour si può accostare a una corsa del genere. Bellissimo anche il finale, non meno crudele di tutto il resto.

E se Nibali è rimasto seduto a terra dopo la caduta, il polacco Majka, che stava volando da solo verso il traguardo ha vissuto una delusione non meno atroce, forse addirittura peggiore. Anche per lui la gloria era ormai ad un passo, e invece ha sentito lentamente avvicinarsi alle sue spalle il danese Fuglsang e soprattutto il belga Van Avermaet, capaci di risalire con tenacia dall’abisso nel quale parevano sprofondati. E il polacco ha capito all’istante, non ha neppure tentato lo sprint, accontentandosi del gradino più basso del podio. Un gradino su cui purtroppo non è riuscito a salire Nibali, a cui non restano che le lacrime.

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