Pippo Baudo story: il Sistina, la Dc, Silvio, Grillo, la P2…Intervista al Fatto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Settembre 2014 - 13:01 OLTRE 6 MESI FA
Pippo Baudo story: il Sistina, la Dc, Silvio, Grillo, la P2...Intervista al Fatto

Pippo Baudo story: il Sistina, la Dc, Silvio, Grillo, la P2…Intervista al Fatto

ROMA – Pippo Baudo story: il Sistina, la Dc, Silvio, Grillo, la P2…Intervista al Fatto. A 78 anni, dopo oltre 100 programmi e 54 anni da star della tv nazionale, Pippo Baudo ricomincia dal teatro (si rilancia al Sistina) e…confessa che ha vissuto in vena di confidenze con Malcolm Pagani e e Fabrizio Corallo del Fatto Quotidiano. Democristiano di sinistra mai pentito (neanche Mario Scelba rinnega), racconta un pezzo importante di storia patria attraverso il filtro catodico del piccolo schermo, dalle trame P2 all’inferno della parentesi Mediaset. E mille aneddoti, personali e non: le origini umili in Sicilia, la laurea e quindi il sogno, Roma, il Sistina (“Era La Mecca”) di cui racconterà sullo stesso palco la storia con Enrico Montesano.

Poi arrivò la televisione. Antonello Falqui, regista di varietà passati alla storia della tv ricorda un
suo claudicante provino d’esordio.
Mi dispiace, ma Falqui ricorda male. Il provino andò benissimo tanto è vero che l’indomani iniziai a lavorare. Dopo il provino, la prima vera occasione arrivò con Settevoci. La Rai avrebbe dovuto trasmettere Rin Tin Tin, il nastro non arrivò e si decise di mandare in onda la puntata pilota. Nessuno si aspettava nulla e invece arrivò il successo. Ettore Bernabei, grande dirigente della Rai democristiana mi convocò: “Mettiamo Settevoci prima del Tg delle 13,30”. Non mostrai il dovuto entusiasmo: “Direttore, ma a quell’ora non c’è nessuno, se lo replicassimo anche la sera?”. Lui rifletté e poi diede il suo assenso: “Lo mandiamo sulla seconda rete”.

Poco dopo, nel ‘68, arrivò Sanremo. Dopo il Festival primigenio, ne condusse altri 12.
Muovendomi per far entrare il Festival nel billboard internazionale dei grandi eventi musicali avevo escogitato un sistema eccezionale che persuase le Major a mandare ospiti super. Dagli operai dell’Italsider di Genova in protesta alle invasioni di Cavallo pazzo, nei suoi Sanremo è accaduto di tutto. Con Mario Appignani, alias Cavallo pazzo, avevo già avuto problemi durante una diretta da Piazza San Marco.

Il rapporto con la politica vede il Pippo nazionale a confronto con protagonisti di là da venire, da Berlusconi a Grillo, passando per la nomenklatura ufficiale, e quella nascosta (“La P2 mi contattò, li mandai affanculo”).

Li mandai a fare in culo. Quando scoprimmo che era coinvolto anche Gervaso, andai da Roberto, lo esonerai dalle interviste che faceva nel mio programma e chiamai direttamente l’ospite della domenica. Un luminare di Ferrara che aveva scoperto una cura per l’angina pectoris. Telefono, gli spiego la situazione e vado al punto: “Domenica, se non ha nulla in contrario, la intervisto io”. Lo sento titubare. Insisto: “Non si fida” chiedo. E lui, di getto: “Non ha capito, alla Loggia sono iscritto anch’io”. Rimasi come uno scemo, con il telefono in mano. Erano tutti della P2.

Offerte accettabili invece?

L’ultima da Romano Prodi per la mia Regione. Ma ho sempre detto no. La Sicilia è ingovernabile, sto leggendo proprio ora un meraviglioso libro di quel vero anarchico che è Pietrangelo Buttafuoco. Si intitola Buttanissima Sicilia. Magari a un siciliano vero può far male, ma se lo leggi capisci tante cose. Lo stesso mi accadeva con Sciascia a cui per spiegarsi bastavano uno sguardo o una frase. Gli chiesi quale posizione dovesse assumere un intellettuale nei confronti del potere e lui mi bruciò: “Sempre e comunque contro”. Aveva ragione. La funzione critica è indispensabile.

Nei confronti di Matteo Renzi sembra latitare.

È stato nominato senza elezioni, ma nessuno può escludere che le avrebbe vinte in ogni caso. Un giudizio su Renzi mi pare prematuro. Veniamo da tre governi un po’ così. Berlusconi ad esempio, ne vogliamo parlare? Ci avrà lasciato qualche brutta traccia Berlusconi o no? E Monti? Ci aspettavamo l’ira di Dio e invece, non è cambiato niente. Del povero Letta è inutile parlare, ha appoggiato il cappello, fatto quattro giri della piazza e poi è andato via. Ora c’è Renzi. Il ragazzo è sicuramente ambizioso e si ritrova un Paese in condizioni pessime. Prima di processarlo, aspettiamo.

Il suo vecchio amico Grillo non vorrebbe perder tempo.

Su Grillo faccio ragionamenti quotidiani. L’ho scoperto io, nel senso più autentico della parola. Faceva il cabarettista a Milano, non di successo devo dire, e andai a vederlo per caso nel teatrino La Bullona. Mi fermo all’ingresso, vedo un tipo e gli chiedo: “Quando inizia lo spettacolo” e quello: “Se entri tu anche subito”. Era Beppe. Mise in scena per un solo spettatore un’ora di puro talento. Lo portai subito in tv, a Luna Park, a Fantastico, a Sanremo. Lo consideravo un fratello, l’ho ospitato a lungo a casa mia, mi ha dato grandi soddisfazioni. Ora mi preoccupa.

Ho il sospetto che sia Casaleggio-dipendente e mi dispiace perché pur avendo portato in Parlamento ragazzi in gamba, si è votato al Niet indistinto. Come diceva Metternich, la politica è l’arte del possibile. Qualche sì, ogni tanto, lo devi dire. Chiamarsi fuori è troppo semplice. Nel Fantastico edizione ‘86 lei e Grillo passaste momenti non felicissimi. La battuta di Beppe sulla delegazione socialista in viaggio premio in Cina era straordinariamente bella, ma non passò inosservata. Suonava più o meno così: “Se tutti i socialisti sono a Pechino, in Italia chi ruba?”. Grillo venne allontanato e recitò da martire, ma in Rai tornò prima di me. Io fui cazziato da Craxi dopo 4 ore di anticamera in via Del Corso: “Lei è quello che fa fare battute sui socialisti?” e poi fatto fuori.

Il peggio doveva ancora arrivare?

Arrivò con Enrico Manca. Diede un’intervista a Padellaro del Corriere della Sera dicendo basta alla Tv Nazional popolare. La misura era colma e io, reduce da successi notevoli, eccitato, andai un po’ sopra le righe: “Caro Manca, invece di fare interviste provi a fare il Presidente. I miei prossimi spettacoli saranno regionali e impopolari”.

A quel punto giunse Berlusconi. Mi corteggiò assiduamente e nel corteggiamento, Berlusconi non aveva rivali: “Con La Rai è finita, vieni da noi”. L’offerta, 50 miliardi di lire in 5 anni per fare il direttore artistico, era ai limiti della moralità. Accettai e andai all’inferno. Mi ritrovai assediato, cozzai con capi e capetti, affrontai guerre pazzesche. Si ritrovò a Saigon? Magari. Mi ritrovai a Sing Sing. Tranne Sandra Mondaini, Raimondo Vianello e, dopo un equivoco iniziale, Mike Bongiorno, ebbi contro praticamente tutti. Persino Corrado, col quale pure avevo antichi rapporti, mi mostrò freddezza. Di lui mi riferivano battute acide. “Vorrebbe insegnare la tv a noi che siamo i suoi maestri”. Erano i miei maestri, era vero, ma non avevo mai covato quell’intenzione. Il fuoco di fila più spietato comunque me lo riservarono Costanzo che si riteneva il padrone del vapore e Ricci.

(Malcolm Pagani e Fabrizio Corallo, Il Fatto Quotidiano)