Scalfari & Mieli da Lilli Gruber: se volete capire perché…

di Edoardo Greco
Pubblicato il 5 Dicembre 2015 - 07:01 OLTRE 6 MESI FA
Scalfari: Calabresi? De Benedetti? Mi sono arrabbiato, ma...

Scalfari: Calabresi? De Benedetti? Mi sono arrabbiato, ma…

ROMA – Guardate Eugenio Scalfari e Paolo Mieli che si parlano addosso, abilmente manovrati da Lilli Gruber nello studio di Otto e Mezzo su La7, e capirete perché i giornali in Italia vendono sempre meno (Corriere della Sera e Repubblica un terzo di 15 anni fa, il Fatto non va oltre le 35 mila copie).

Un’ora di parole mezzo biascicate, per spiegare agli italiani attoniti perché Eugenio Scalfari si è arrabbiato con Carlo De Benedetti.  Non perché – a quanto dice il fondatore di Repubblica davanti alle telecamere di Otto e Mezzo (La7) – non condivida la scelta di Mario Calabresi come successore di Ezio Mauro alla direzione di Repubblica. Ma perché De Benedetti ha scelto Calabresi senza consultare Scalfari.

Sembrava una scena tagliata perché troppo deprimente dal film Marigold Hotel. Un’ora surreale e un po’ patetica fra Scalfari lamentoso e Paolo Mieli, che fu direttore del Corriere della Sera e della Stampa ma non di Repubblica, il cui birignao aristocratico in vecchiaia si è trasformato in uno strascicato miagolio.

Resta il fatto che per quella vassallata ingiusta e inutile di Carlo De Benedetti il novantunenne giornalista più capace, ai suoi tempi, d’Europa, aveva veramente deciso di non scrivere più sul giornale da lui fondato, Repubblica. Poi sono arrivate le scuse di De Benedetti, la visita di Calabresi e Scalfari ha deciso di continuare a scrivere e di continuare, contrariamente a quanto aveva pensato, a tenere la sua rubrica fissa della domenica.

Queste le parole di Scalfari a Otto e Mezzo: «Ho avuto un minimo di delusione, di fastidio, per il fatto che l’ingegnere Carlo De Benedetti (che è il presidente della nostra società e anche il proprietario) non mi abbia consultato prima della scelta del nome da mettere al posto di Ezio (Mauro, ndr), ma me l’abbia detto quando il consiglio d’amministrazione aveva deciso. Questo mi ha infastidito perché – bene o male – avendo grande affetto reciproco, non so da quanti anni – forse  50 anni – pensavo lui mi consultasse”.

Perché non l’ha fatto? Perché – anche se probabilmente gli avrei dato il nome del direttore che si insedierà il prossimo 14 gennaio (Mario Calabresi, ndr) – lui non sapeva cosa avevo in mente io. E quindi ha pensato “io decido, perché se poi Eugenio mi dice un nome e io ne penso un altro, gli faccio uno sgarbo”. E quindi per non farmi questo sgarbo me ne ha fatto un altro. Cioè: mi ha messo davanti a una decisione già presa.

Allora, come capita, io mi sono un po’ arrabbiato e ho detto “allora io non scrivo più”. Dopo di che, lui si è piazzato a casa mia, m’è venuto a trovare, per dirmi “ma non lo devi fare, io ti chiedo scusa…” Insomma: l’abbiamo rimpattata, ecco. Lui ha ottenuto che io scrivessi. Però io gli avevo detto che non volevo più tenere una rubrica fissa un giorno alla settimana, perché ti costringe a leggere tutti i giornali tutti i giorni, devi fare un lavoro preparatorio molto lungo e faticoso, tre ore al giorno. Allora gli ho detto “io scrivo, ma non più a data fissa. Scrivo quando ho voglia di scrivere, che mi viene un tema proprio in cui mi voglio…”.

Poi è arrivato Calabresi e ci siamo salutati abbracciati eccetera. Mi ha detto “tu hai preso questa decisione e io capisco anche il perché…”. Sì, l’ho presa ma tu non c’entri niente. Nel senso che probabilmente io avrei fatto il tuo nome… Lui mi ha detto “Non vuoi più scrivere la domenica? Invece devi scrivere la domenica. Io capisco che è una fatica. Capisco che fra un anno, due anni, tu dici che è una fatica che non ti va più di fare. Ma adesso lo devi fare, anche se ti costa fatica, per varie ragioni”.

E mi ha elencato le ragioni, fra le quali due importanti. Una era “quello che tu scrivi liberamente, ma a giorno fisso, serve anche a me per entrare dentro l’atmosfera di Repubblica. Perché tu sei uno di quelli – non certo il sole – che rappresenta la fondazione, e quindi la natura, il Dna di Repubblica. Poi, seconda ed ultima ragione, “smettendo di scrivere priveresti il Paese di una voce importante“. E allora io ho accettato». Ecco il video integrale della puntata. Il discorso di Scalfari su Repubblica è nei primi 7 minuti.