Abramo Lincoln, l’apostolo dei neri, era razzista?

di Chiara Vasarri*
Pubblicato il 27 Maggio 2009 - 15:24 OLTRE 6 MESI FA

Abramo Lincoln, il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America che pose fine alla schiavitù, era razzista? È la domanda che un professore di Harvard, Henry Louis Gates, si pone in un libro appena uscito negli Usa (“Lincoln on Race and Slavery”, Princeton University Press, 343 pp).

Nato e cresciuto in una famiglia razzista durante un’epoca di forti discriminazioni sociali, Lincoln è stato spesso accusato dai suoi critici di atteggiamenti intolleranti nei confronti dei neri. Molti sostengono che usasse ad esempio a parola “nigger” (“negro”), che facesse dell’ironia sulle persone di colore e che assistesse ai “Minstrel Show”, varietà dove i neri venivano rappresentati in maniera stereotipata e quasi sempre offensiva. Senza parlare dell’accusa più grande che gli è stata rivolta, quella di aver scatenato la guerra contro il Sud per ragioni economiche, usando l’antischiavismo come un pretesto.

Il libro ripercorre le tappe salienti della vita di Lincoln, primo a teorizzare che «il nero non è uguale al bianco nel colore, e in molti altri aspetti» ma anche che «l’uomo di colore è uguale a ogni altro uomo nel diritto di mangiare il pane che si è guadagnato con le sue braccia». Tra aneddoti e contraddizioni, Gates ci ricorda che l’uomo entrato nel mito tanto da essere raffigurato persino sulla moneta da cinque dollari e sul monte Rushmore, fu, più che un apostolo, un politico di lunghe vedute.

* Scuola Superiore di Giornalismo Luiss