Antonio Di Pietro attacca il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: oltre i limiti, rischio di destabilizzazione

Pubblicato il 22 Luglio 2009 - 13:49 OLTRE 6 MESI FA

Antonio Di Pietro, capo del partito Italia dei Valori, ha lanciato un pesante attacco al presidente della Repubblica, molto sopra le righe. Nemmeno ai tempi di Giovanni Leone, il presidente che fu costretto a dimettersi da una incalzante campagna politica e di stampa, i toni arrivarono a quel livello offensivo e aggressivo.

Le apparenti intenzioni di Di Pietro sono evidenti: raccogliere voti, nel grande serbatoio dell’antiberlusconismo di sinistra e forse anche di destra, in modo da allargare la sua base elettorale oltre il serbatoio naturale che viene dal disfacimento dei tradizionali partiti alla sinistra del pci-pds-ds-pd.

Obiettivamente le mosse di Napolitanoson o state un po’ contorte e criticabili. Ma l’aggressione verbale personale sconfina nel tentativo di destabilizzazione che è coerente con la storia molto demagogica di Di Pietro, a cominciare dai processi in Tv vent’anni fa e dai pronunciamen ti contro il Parlamento.

In un momento come questo. l’Italia non ha bisogno di destabilizzazione ma di stabilità. Fare cadere Napolitano, o almeno provarci, ha un risultato obiettivo, quello di distogliere l’attenzione del dibattito politico dai problemi in cui si tormenta il primo ministro Silvio Berlusconi; e può avere una conseguenza magari non voluta, quella di fare andare Berlusconi al Quirinale, così come una conseguenza non voluta di mani pulite fu Berlusconi a palazzo Chigi.

La lettera di Di Pietro ha inizio così: «Gent.mo Presidente… risponda nel merito senza offendermi..»; «… qualsiasi persona normale si sarebbe aspettata che Lei…».

Il durissimo attacco di Di Pietro al Capo dello Stato, corrosivo e ai limiti dell’offesa personale nei toni, irremovibile sui contenuti, irrituale nella forma adottata, è nella forma di una lettera aperta pubblicata dal suo blog.

Il leader dell’Italia dei Valori non fa sconti a Napolitano su quella che ritiene una gravissima colpa politica: aver sottoscritto e promulgato la legge sulla sicurezza licenziata dal Governo Berlusconi nonostante lui stesso ne avvertisse le incongruenze palesi e il deficit di costituzionalità, pensiero esplicitato attraverso una lettera alla Presidenza del Consiglio.

Nel dar corpo alla propria irritazione per essere stato accusato di non conoscere approfonditamente le prerogative di un presidente della Repubblica, Di Pietro non usa mezze misure ne esita a esasperare il confronto. La butta sul personale, affronta la controversia quasi si trattasse di una requisitoria, rimprovera a Napolitano modi e contenuti del suo comportamento istituzionale, bacchetta la più alta carica dello Stato nemmeno fosse l’ultimo dei suoi portaborse.