Assisi/ Il nuovo spettacolo di Dario Fo su Giotto censurato dal vescovo. Non accetta che si metta in discussione la paternità degli affreschi della basilica

Pubblicato il 30 Giugno 2009 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA

Dario Fo, premio Nobel della letteratura, è stato ancora una volta censurato. Lui ci è abituato – «alla censura ho ormai un allenamento di sessant’anni» –  anche se il repentino annullamento del suo spettacolo ad Assisi da parte dell’autorità vescovile lo ha certo colto di sorpresa.

Si era ormai giunti agli ultimi preparativi per lo spettacolo su Giotto, un monologo di cinque ore in due serate, che si sarebbe dovuto svolgere nella piazza davanti alla basilica di Assisi. Tutto era pronto: Claudio Ricci, sindaco di centrodestra di Assisi e perfino i frati del Sacro Convento, non avevano trovato nulla che facesse gridare allo scandalo. Eppure, improvviso è giunto un apostolico niet. Sorprendentemente la causa non è stata l’anticlericalismo popolare caratteristico di molti spettacoli di Dario Fo. Questa volta la blasfemia è stata culturale, di critica artistica.

Il letterato si è permesso di mettere in discussione la paternità del ciclo di affreschi attribuiti a Giotto e questo non è piaciuto al titolare del seggio apostolico. Eppure, diversi anni di studio sono stati necessari a Fo per giungere a questa conclusione che d’altronde lo vede sulla stessa posizione di ben quotati critici d’arte, come Bruno Zanardi. Ma la professionalità e la serietà non sono nulla, deve aver stimato il vescovo Sorrentino, quando le verità stabilite sono toccate.

D’altronde molti concittadini del vescovo si trovano d’accordo con la loro autorità religiosa. «A che serve – si chiedono – mettere in discussione gli affreschi di Giotto? Solo a far crollare una magnifica illusione».

Dario Fo non porterà il suo spettacolo ad Assisi. Gli assisiati non si disperino: nella piazza in cui avrebbe dovuto recitare il premio Nobel qualcuno avrà almeno fatto almeno in tempo ad assistere al concertone del 12 giugno, con Renato Zero, Raf, Tiziano Ferro. Per questo sì il vescovo aveva concesso l’imprimatur.