Aveva trovato un uomo che non era biondo ma aveva un antenato che lo era e forse l’oracolo, con tutto quel buio, non aveva visto tanto bene…

Pubblicato il 5 Agosto 2010 - 14:02| Aggiornato il 7 Agosto 2010 OLTRE 6 MESI FA

L’oracolo.

Sono vecchia! Sono vecchia! Sono vecchia e zitella!

Il medico le aveva scoperto il braccio per l’iniezione sottocute e la lampada impietosa le aveva mostrato tutte le grinze della sua pelle.

Uscì in strada completamente annichilita.

Gli uomini mostravano una certa sorpresa quando se la trovavano davanti, ed ora sapeva perché: perché quando si avvicinava scoprivano che era vecchia, e forse intuivano anche che era zitella e pure senza un uomo.

La strada del ritorno era disseminata di vetrine nelle quali persino i manichini erano giovani: certamente avevano pelle liscia e soda!

Per consolarsi ebbe l’idea di comprare un vestito.

Entusiasta s’infilò in un negozio, si spogliò nel camerino ma lì c’erano luci vendute dallo stesso fornitore dello studio medico perciò il suo guardaroba quella sera rimase ancora con uno spazio vuoto.

Lei aveva un’amica che aveva un’amica che conosceva una che conosceva una sensitiva.

Non aveva amiche che conoscevano chirurghi plastici. Non aveva neanche i soldi per potersi permettere una tiratina che poteva risolvere le grinze che l’affliggevano ed il ferro da stiro non era mai stato sperimentato come trattamento economico alternativo, né tanto meno compariva tra gli antichi rimedi popolari.

Ognuno fa quel che può e lei poté contare sulle amiche che conoscevano chi conosceva una cartomante/sensitiva/maga che le fornì speranze inaspettate senza costosi interventi leviganti.

“Ho una magnifica notizia per te!”

Così, dall’amica, fu accolta una sera.

“Una notizia sul tuo lavoro?” – Rispose lei senza dare importanza al “per te”. Non era abituata a belle notizie che la riguardavano.

“No, no! Una notizia per te, non per me!”

“Cosa vuol dire?”

“Devo raccontartela tutta, e dal principio.

Sono andata a trovare Giovanna e siamo uscite insieme a mangiare una pizza. Eravamo già sulla soglia del locale quando abbiamo visto entrare due strane donne vestite in maniera bizzarra: una, bionda, alta quasi due metri e dal fisico imponente; l’altra, piccola, di pelle scurissima e con i capelli neri e crespi.

Tutte e due indossavano un giacchino variopinto pieno di lustrini e lunghe gonne larghe e nere. Ai piedi avevano scarpe a punta ed in testa un cappello a falde larghe dai colori sgargianti”.

“Che strani personaggi!” – Ci siamo dette Giovanna ed io, guardandoci.

Non avevamo neanche finito di parlare, quando la bionda: “Giovanna! Sei proprio tu!”

Giovanna, guardandosi intorno col desiderio che non ci fosse nessuno a testimoniare l’episodio, arretrò di qualche passo, guardinga.

E l’altra: “Ma Giovanna! Non mi riconosci?”

L’interpellata aveva appena cominciato a balbettare un timido “No”, intimidita da quello che sembrava essere il delirio di un’alienata, quando venne stretta in un caloroso abbraccio stritolatore.

Le braccia di Giovanna penzolavano disordinatamente lungo il suo corpo, al ritmo dell’affettuoso strapazzo.

“Cara, carissima!” –  Continuava a ripetere lo strano essere mentre la poverina mi guardava disperata da sotto l’ascella del bizzarro personaggio.

L’altra eccentrica figura si limitava a saltare intorno alle due descrivendo un cerchio e battendo le mani.

“Santi del cielo aiutateci tutti! – Dissi rivolta al magnifico cielo stellato sperando di scorgervi una qualche sacra figura – Pensavo di poter trascorrere una pacifica serata ed invece guarda cosa ci doveva capitare! Speriamo almeno che queste due siano innocue!”

Tra urla, gridolini e battiti di mani, Giovanna venne infine sciolta dalla famelica stretta e tornò in libertà, anche se vigilata: con i vestiti che sembravano appena usciti dalla centrifuga di una lavatrice che aveva lavorato a quindicimila giri al secondo e come indossati senza un ordine logico, gli occhiali penzolanti da un lato ed il volto paonazzo per la forzata apnea causata dalla violenta pressione sul torace di quella che aveva tutte le carte in regola per essere un lottatrice di Sumo scappata dal ring per una pausa.

Ed ancora quella, facendo un passo indietro per rimirarla tutta: “Fatti guardare, ma come stai bene!” Scambiando forse il rosso provocato dalla scansata asfissia per innegabile indice di salute ed il barcollare di Giovanna in cerca di equilibrio per gioiosa voglia di danzare.

Fu forse la scarica d’adrenalina che le aveva provocato quell’aggressione perché Giovanna all’improvviso proferì: “ Ma come, sei proprio tu?”

Ebbi per la verità il sospetto che Giovanna stesse fingendo per salvarsi da quell’assalto e potersela dare a gambe nel momento propizio, perciò mi posizionai verso la porta del ristorante pronta a rientrarvi per cercare asilo: da lì dentro non saremmo uscite fino a che le due forsennate non si fossero rassegnate a lasciarci andare!

“Cara, carissima! Come ho fatto a non riconoscerti subito!” Continuò Giovanna.

Lei e la bionda ricominciarono ad abbracciarsi, questa volta reciprocamente, e l’altra, quella della danza a cerchio, aveva riattaccato a fare dei piccoli saltelli, rimanendo però sullo stesso punto.

Nonostante la mia debole religiosità, trovai tuttavia conforto nel chiedere la protezione di tutti i santi che mi riusciva di ricordare: qualcuno di loro interpellato più volte per non chiedere aiuto a qualcuno che magari santo non lo era ancora,  ma solo beato (cosa che avrebbe reso meno forti le mie preghiere) o che forse santo non lo era affatto (col rischio di rendere del tutto vane le mie richieste di interventi soprannaturali).

Ormai rassegnata a vedere Giovanna vittima di una terribile stregoneria, cercavo di fare mente locale sulla più vicina chiesa dove trovare un prete esorcista o almeno prendere un po’ d’acqua santa per aspergere il diabolico terzetto.

Le effusioni si calmarono e Giovanna si ricordò della mia esistenza:

“Lia! Tu non hai idea di chi sia questa persona!”

“La capostipite della casta dei cervelli sconquassati? Il caso clinico più eclatante di incontinenza affettiva?” – Pensai.

Mentre cercavo invano nella mia mente una provenienza consona al soggetto, Giovanna continuò: “E’ una persona straordinaria che ho conosciuto durante il viaggio in Marocco di quest’estate e lei-, fece indicando il feticcio scuro dai capelli crespi- ha vissuto per anni laggiù, in un villaggio sperduto”.

“Che siano straordinarie tutt’e due lo vedo bene -, dissi – ed è anche evidente che il villaggio di cui parli doveva essere molto sperduto ed anche lontano da presenze umane avvezze al mondo civile (dove invece saltellare in simil modo garantisce l’entrata veloce in un centro d’igiene mentale e l’accoglienza di medici multispecializzati e con pluriennale esperienza)” – Pensai.

Credendo che le presentazioni fossero il nulla-osta per qualsiasi manifestazione affettiva, la lottatrice di Sumo volle fare anche a me lo stesso caldo trattamento che aveva riservato a Giovanna ed il feticcio scuro non mancò di saltellare e battere le mani anche per me.

Quando fui sciolta dall’abbraccio, la realtà circostante mi riapparve notevolmente movimentata.

“Ho una splendida idea!” Disse la bionda, mentre nella mia mente prendeva corpo l’immagine orrenda di una danza a quattro in mezzo alla strada in cui venivo coinvolta per non essere riuscita a procurarmi l’acqua santa.

“Visto che voi avete già mangiato, – cominciò a dire la bionda lottatrice, mentre io disperata mi prefiguravo un qualche rito tribale d’importazione africana – mi faccio preparare due pizze qui e le porto a casa. Voi potrete seguirci e bere qualcosa insieme in tranquillità”.

Il temuto rito tribale divenne un invitante rito da civiltà occidentale.

“Devo raccontarvi un sacco di cose! – Proseguì  rivolgendosi anche a me come se fossi una sua grande amica – Veniteci dietro in macchina!”

Non avemmo dubbio alcuno a riconoscere la loro auto e fortuna volle che nessuna pattuglia ci fermasse per infrazione della legge sugli animali protetti: il veicolo era esternamente foderato di peluche leopardato.

Per molte ragioni potemmo seguirle senza nessuna difficoltà ed arrivammo alla loro dimora senza aver corso il rischio di perderle nel traffico, per ulteriori altre ragioni.

“Finalmente qualcosa di normale!” Pensai tra me e me guardando il palazzo ubicato in una grande via del centro storico.

Percorremmo un normalissimo androne e prendemmo un tecnologico ascensore: direzione attico.

La porta d’ingresso si presentava innocua, perfettamente intonata al resto: si aprì e la mia opinione non rimase la stessa.

Ci accolse uno stanzone col soffitto dipinto d’azzurro col sole splendente ed al centro un grande tavolo di marmo con intarsi colorati su cui campeggiava  un candelabro con candele bianche che il feticcio scuro si precipitò ad accendere. Per terra cuscini con paillettes.

Nonostante l’atmosfera soprannaturale, il mio corpo si ricordò della sua natura umana e mi diressi verso il bagno dopo avere ricevuto la mappa del percorso e la bussola. Impegnata in un fitto dialogo con la mia vescica e discutendo animatamente col mio scarso senso dell’orientamento, nella penombra del corridoio m’imbattei in una pantera nera che acuì subitaneamente il mio bisogno di far fuoriuscire liquidi corporali: fu solo la sua immobilità a convincermi che si trattava di una scultura a grandezza naturale. Pur sprovvista di sali, ritornai in me e trovai finalmente il bagno, ma il coccodrillo finto di fianco alla tazza rese del tutto inutile il mio viaggio fin lì persuadendomi a tenere quello che fino ad un momento prima volevo assolutamente espellere.

L’impatto col rettile operò anche sul mio cervello facendogli percepire la mappa come oggetto oscuro: la strada del ritorno divenne perciò un percorso avventuroso per mete sconosciute. Mi ritrovai ad attraversare la zona giurassica, disseminata da riproduzioni di belve preistoriche, poi una stanza dal soffitto dipinto di blu scuro con stelle scintillanti sul soffitto, una fosforescente luna gigantesca con tanto di bocca ed occhi, e letti a terra: forse quella era la zona notte, ma forse non un posto per dormire. Infine guadagnai il salone ed anche la quasi umana compagnia.

La bionda lottatrice di Sumo avanzava nella stanza tenendo in mano una teiera in terracotta sotto la quale stava una fiammella accesa per tenere calda la bevanda; il feticcio scuro la seguiva in fila indiana armata di vassoio pieno di lunghe tazze, pure in terracotta, bastoncini di cannella e chiodi di garofano.

Ci mettemmo a sedere su dei piccoli troni alti, lucidi e neri, dotati di cuscini variopinti pieni di lustrini che facevano pendant ai giacchini delle due.

Il feticcio scuro ci salutò come se dovesse partire per un lungo viaggio ed invece si ritirò in disparte in un cantuccio buio della stanza: il suo sguardo insisteva su di me ed io, per levarmi d’imbarazzo, mi avventai sulla bevanda profumata dissimulandone un forte desiderio. Forse il feticcio avrebbe smesso di osservarmi se avessi fatto qualcosa!

“Vieni qui!” Mi ordinò improvvisamente la sua voce da quell’angolo scuro facendomi andare di traverso la prima goccia di the.

Guardai istintivamente Giovanna per cercare rassicurazioni.

La bionda fece a Giovanna un cenno di assenso che a sua volta lo fece a me.

“Vai!” Mi dissero le due all’unisono. “Vai, Ghelda ha qualcosa da dirti”.

“Qualcosa da dire a me? Ma se oggi è la prima volta che la vedo! Vi state sbagliando! Sicuramente intende una di voi due!” Dissi tentando di sottrarmi all’incontro ravvicinato di non si sa quale tipo.

“Vieni qua!” – Tuonò ancora una volta la voce. Un braccio teso ed un dito emergevano dal buio ad indicare inequivocabilmente me.

Con un po’ di timidezza mi alzai, sperando ancora che cambiasse idea, ma il suo braccio continuava a stare proteso verso di me, ancora di più il suo dito.

“Vai, vai!” – Continuavano a dire Giovanna e la lottatrice di Sumo.

Dovetti quindi avvicinarmi. Il feticcio stava inginocchiato con gli occhi chiusi, spalle appoggiate alla parete: davanti a sé, su di un telo bianco, tanti rametti d’albero di varie dimensioni. Mi coprì la testa con un velo, raccolse con ambedue le mani tutti quei rametti e li lasciò cadere, fece un grosso respiro e: “Tu hai un’amica il cui nome comincia per “F”, – disse scrutando quel mucchio informe di legnetti.

Mi sporsi leggermente in avanti per cercare in quell’ammasso qualcosa che somigliasse all’iniziale, ma il feticcio lanciò un grido coprendo con le mani i preziosi rami. Respirò ancora profondamente, fece dei segni sopra il mucchietto e continuò: ”La vedrai stasera. Devi darle un messaggio: dille che tra poco troverà l’amore”.

“Ma io l’amore l’avevo già trovato! E’ l’amore che non ha trovato me! E poi, non è che parlava di quello che mi ha mollato?”

– No, No! E’ sicuramente un altro: ha parlato di un uomo biondo!

– “Ma sei sicura che parlasse proprio di me? Sicuramente hai qualche altra amica il cui nome comincia per “F”.

– “No, no! Sono sicura che parlava di te! Ti ha descritto e mi ha dato dei particolari inconfondibili”.

-“Per esempio?” Fece lei dubbiosa pensando ad uno scherzo ben architettato.

-“Per esempio che sei stata mollata in malo modo!

-“Che novità! Dimmi se c’é un modo buono per essere mollati!”

Per quanto lei fosse scettica, la notizia la mise tuttavia di buon umore. Non le sarebbe certo dispiaciuto un uomo biondo. Diciamo pure che non le sarebbe dispiaciuto nessun uomo!

Purtroppo aveva perso ogni fiducia in fruttuosi incontri maschili ed una profezia per interposta persona non gliela poteva certo ridare.

Si mise l’anima in pace e non ci pensò più, ma altrettanto in pace non erano le sue materiali molecole e l’uomo biondo lo sognò.

Non sapeva se la cosa poteva avere un valore indicativo perché quell’uomo era visibilmente ossigenato.

Il sogno poteva considerarsi un buon inizio, tuttavia un inizio complesso e generatore di numerosi dubbi: di che colore erano originariamente i capelli del soggetto? Neri? Castani? Forse solo biondo scuro? Forse l’oracolo voleva dire un uomo “biondo dentro”? Cosa poteva voler dire “biondo dentro”? Funzionava come “bello dentro” o forse era semplicemente l’emblema del principe azzurro delle favole che leggeva da bambina e che era sempre biondo? Mise bene a fuoco i capelli dell’uomo sognato e sì, la radice di quei capelli era biondo scuro! Finalmente una certezza, ma domande inquietanti cominciarono a farsi strada nella sua mente, una strada ampia e ricca d’insidie: “Perché si ossigena i capelli? Forse per camuffare i capelli bianchi? Devo cercare uno che da bambino era biondo e che crescendo si è scurito? Devo cercare uno non proprio biondo ma che si è schiarito col sole e con l’acqua di mare? Si tratta forse di uno che passa molto tempo al mare?  Un bagnino? Un pescatore? Uno spazzino da spiaggia? Uno che vive ai Caraibi?

Il sogno riaccese la debole fiammella della speranza e, nonostante le questioni insolute, per non mostrare disprezzo verso la profezia del feticcio, ora avvalorata da quella visione onirica che lei stessa aveva avuto ed anche perché “Non si sa mai”, “F” cominciò ad aguzzare la vista alla ricerca di chiari capelli ed a fare gli occhi dolci ad ogni uomo biondo che incontrava: per la strada, al supermercato, sul bus…

La sua disponibilità incontrò molto successo, soprattutto nelle prime fasi degli incontri, ma non riusciva proprio a capire perché gli uomini fossero così restii a farsi dare una tiratina di capelli (doveva almeno verificare se si trattava di parrucchino) e a rispondere a domande sul colore naturale dei loro capelli. Inoltre, quasi tutti le chiedevano se facesse la parrucchiera: strana ed astrusa domanda!

Non c’è rosa senza spine, così si dice, ed i proverbi, si sa, sono testimoni d’antica saggezza popolare, frutto della secolare esperienza dei nostri avi.

Lei, infatti, era assalita da sempre nuovi e innumerevoli interrogativi.

E se l’uomo a lei destinato era un biondo che aveva perso i capelli? Come riconoscere un ex biondo in un uomo con ormai capelli bianchi? Come avrebbe potuto appurare la verità?

In verità un metodo le venne in mente ma non era applicabile in pubblico ad ogni sospetto biondo che incontrava! In pubblico no…ma in privato sì, perciò andò incontro al suo destino armata di rassegnazione e di torcia elettrica da usare al momento opportuno per le verifiche del caso: quando l’animale si sarebbe addormentato avrebbe potuto esaminare in tranquillità l’originale tinta del vello.

Nel corso delle numerose ispezioni capitò qualche volta che l’essere si svegliasse e più volte lei dovette fingersi alla spasmodica ricerca di anelli e collane persi sotto le lenzuola. A causa del grande raggio della sua ricerca, quasi quotidianamente la batteria della sua torcia elettrica doveva essere ricaricata.

Visto che l’impresa si era dimostrata più faticosa e difficoltosa di quanto avesse mai immaginato e fors’anche sperato, decise di concedersi una tregua per riprendere le forze. Partì per una lunga vacanza in luoghi notoriamente poveri di razza bianca e soprattutto di biondi: non voleva incappare nella tentazione di continuare nel suo studio e desiderava garantire riposo ad ogni parte del suo corpo!

Nel lungo volo di ritorno si era addormentata ed ora sentiva le membra intorpidite. Fece una breve passeggiata verso il bagno ma poi le venne l’idea di percorrere tutto l’aereo, dalla testa alla coda. Che spettacolo le nuvole da quassù, pensò protendendosi verso un finestrino laterale.

– “Permesso!”

Fu forse quella voce stridula a far vibrare improvvisamente l’aereo, o forse non aveva sentito il capitano che annunciava turbolenze?

Si trovò distesa su qualcuno.

– “Mi scusi! Stavo cercando di guardare fuori dal suo finestrino!”

“Da distesi la visuale è più rilassante!” Ribatté divertita una voce maschile.

“Sono caduta su di un uomo?” – Pensava mentre incontrava due occhi verdi.

“Occhi verdi = capelli biondi? Le statistiche non sono un’opinione!”

Lo sguardo di lei si posò sul viso del passeggero.

“Pelle un po’ scura… abbronzato?” Rifletteva lei – “Capelli neri!”- Constatò con delusione.

“Mi scusi, lei si tinge i capelli di nero?” Chiese ancora speranzosa.

“Lei fa la parrucchiera?” Fece lui di rimando.

“No, no, solo una curiosità”

“Meno male! Che pessima parrucchiera sarebbe stata! I miei capelli sono neri, il loro colore naturale”.

“Ah! Fece lei lasciando malvolentieri il corpo sul quale era atterrata”.

“Va via perché il nero non le piace? Non ha notato che sono un po’ brizzolato? Posso ossigenarmi seduta stante, se preferisce, così potrà occupare il posto libero accanto a me, l’hostess non avrà nulla in contrario: credo che abbia un debole per i bruni brizzolati” – Concluse ridendo.

L’invitante poltrona allungabile sconfisse ogni dubbio, lo spumante fece il resto e lei concluse il viaggio con uno strappo alla regole degli ultimi mesi: scambiò il proprio numero di telefono con l’uomo dal vello innegabilmente scuro senza bisogno di ulteriori accertamenti che tuttavia lei volle fare.

Nell’attesa che si realizzasse il suo biondo destino, si accontentò di frequentare il bell’esemplare di razza bruna.

Grande era il suo dispiacere nel costatare quanto fosse interessante e quante qualità  avesse quell’uomo: ma non era  biondo!

Ormai determinata a troncare quella relazione per dirigere le sue ricerche al biondo pelame, le venne in mente la teoria di Mendel sui caratteri recessivi e dominanti. Poteva trovare un compromesso! Forse non tutto era perduto!

“E, dimmi-, fece lei dissimulando noncuranza mentre invece tutte le sue speranze erano appese ad un fragilissimo filo- in famiglia siete tutti scuri di capelli?”

“Si, siamo tutti scuri” – Rispose la bruna bellezza maschile.

Lei vide la figura di lui che le rivolgeva un debole saluto d’addio e si allontanava lentamente diventando sempre più piccola.

L’amata sembianza era già meno che un puntino ormai quasi perso nell’immensità infinita del cosmo, quando lui: “Siamo tutti scuri, ma io devo i miei occhi verdi al mio biondissimo trisnonno svedese”.

L’universo risputò l’immagine che fece ritorno in modo molto più repentino di come si era allontanata ed il debole saluto si trasformò nello sbracciarsi di un naufrago dimenticato su un’isola deserta alla vista di un maestoso veliero capitato lì per caso.

Lei sorrise con aria trasognata.

“Ehi! Mi stai ascoltando? Dove sei andata con i tuoi pensieri?” – Disse lui inconsapevole del viaggio che aveva intrapreso e da cui, altrettanto inconsapevolmente, era tornato.

– “In Svezia! Penso che dovremmo andarci, è un paese che merita una visita!”

P. S. Per amor del vero era dovuta entrare in intimità con molti e, così, di tentativo in tentativo, anche grazie al trisavolo, l’uomo lo aveva trovato: non era biondo, ma aveva un antenato che lo era e forse l’oracolo, con tutto quel buio, non aveva visto tanto bene…