Avigdor Lieberman/ “L’Europa non può imporci un accordo con i palestinesi”. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano in un’intervista al quotidiano La Stampa

Pubblicato il 15 Luglio 2009 - 11:03 OLTRE 6 MESI FA

«La pace può essere edificata, sviluppata, ma non imposta». Usa toni soft ma perentori Avigdor Lieberman, il falco della destra israeliana, attualmente ministro degli Esteri, sulle colonne del quotidiano La Stampa.

E quando gli viene chiesto se sia necessario stabilire una data entro la quale la comunità internazionale riconosca lo Stato palestinese, risponde: «L’esperienza che abbiamo accumulato negli anni mostra che nelle due volte in cui abbiamo firmato accordi di pace, con Egitto e Giordania, ciò è avvenuto al termine di negoziati diretti con i nostri vicini».

Ma in Europa c’è insoddisfazione per la politica di Israele? Il presidente francese Nicolas Sarkozy vedrebbe volentieri come ministro degli Esteri Tzipi Livni, la leader di Kadima. «Non penso sia insoddisfazione, semmai incomprensione di quanto avviene in Medio Oriente. Con i palestinesi abbiamo discussioni, ma non un confronto, noi non minacciamo l’Anp, al contrario la sosteniamo. Per l’Anp la minaccia maggiore è Hamas, non Israele».

Le relazioni con gli Stati Uniti di Barack Obama rimangono, invece, abbastanza buone. Unico punto di tensione sono le colonie. «Non costruiamo nuovi insediamenti, ma non ci si può chiedere di asfissiare gli insediamenti ebraici in Giudea Samaria». «Non voglio negoziare il congelamento della colonizzazione ebraica in Cisgiordania, visto che dovrei congelare anche me stesso…(il ministro risiede nella colonia Nokdim in Cisgiordania, ndr) – prosegue Lieberman – Non è giusto da parte mia prendere parte attiva».

Ma un governo guidato dal Likud potrebbe trovare un accordo con i palestinesi più facilmente? «Il governo di colombe che ci ha preceduto in tre anni ha condotto una guerra in Libano e l’operazione Piombo Fuso a Gaza. Il nostro approccio è diverso: prima dobbiamo garantire sicurezza agli israeliani e sviluppo economico e stabilità ai palestinesi. Solo dopo si potrà pensare a soluzioni politiche».