Il “tutti a casa” che piace alla gente

di Marco Benedetto
Pubblicato il 27 Luglio 2009 - 16:36| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il crescente successo della Lega si spiega con molti motivi, uno dei quali è la capacità di individuare temi che sono in testa alla gente e di dire le cose che la gente pensa e che spesso nessuno vuole dire. Che poi nella testa della gente ci siano sempre e solo cose giuste è un articolo di fede cui nessuno si sottrae. Articolo di fede che però non trova riscontro e conferma, per esempio, nella storia. L’idea lanciata da Umberto Bossi e rilanciata da Roberto Calderoli nel fine settimana del 25 luglio, il “tutti a casa” dall’Afghanistan, è di quelle cose che piacciono agli italiani, è nelle nostre corde: Caporetto e l’8 settembre sono due date fondamentali nella storia patria, quelle che è bene andare a ripassare quando uno si chiede perché nel mondo non ci tengono in grande considerazione.

In questo momento, a dire il vero, non siamo proprio isolati, visto che anche tra gli inglesi, storicamente guerrafondai e militaristi, cominciano a serpeggiare sentimenti simili.

Forse il senso della guerra è legato i qualche modo alla percezione degli interessi per cui si combatte e anche della ricaduta che ne deriva sul tornaconto individuale: una volta gli inglesi le guerre le facevano in nome e per conto proprio, oggi la fanno per conto degli americani, come degli italiani qualsiasi , e la cosa non gli va giù al punto che questa è una delle cause principali dello scontento verso Tony Blair e il suo partito laburista che ora ricade, tradotto in pesante caduta di voti, su Gordon Brown.

Bossi quindi tocca un sentimento quasi europeo, con un vantaggio. Se le stesse cose le dicesse la sinistra, sarebbe in gioco ancora una volta il disfattismo pacifista dei soliti comunisti, luogo comune radicato e almeno in parte motivato dalla storia; Bossi può invece permettersi di dirlo con una credibilità, almeno in Italia, fuori discussione.

Certo gli europei non hanno mai capito la guerra in Afghanistan, fin dall’inizio, e non solo gli italiani, ma anche gli inglesi. Quella in Afghanistan è una guerra degli americani, che è nei piani dei loro alti comandi militari da molto tempo; basta ricordare che ai tempi di Bill Clinton e della sua Noemi, Monica Lewinsky, un provvidenziale attacco con missili intercontinentali fu messo su in quattro e quattr’otto per distogliere un po’ l’attenzione, segno che i piani erano già pronti da tempo.

L’Afghanistan è nella grande strategia americana come lo era in quella dell’impero britannico. Allora serviva per tenere sotto controllo il retroterra dell’India (che comprendeva anche il Pakistan) e tenere libera la strada dall’India al Medio Oriente alla Persia. Gli inglesi persero al Kyber pass un intero corpo di spedizione, che è entrato nel mito militare dell’impero britannico.

Oggi l’Afghanistan è una prospettica testa di ponte nel conflitto, non necessariamente armato che opporrà, prima o poi, le due superpotenze del ventunesimo secolo. America e Cina. Dell’oppio agli americani importa molto poco, se no si sarebbero già impegnati a fondo innanzitutto in America Latina. La democrazia, come dice Calderoli, non si esporta e d’altra parte se gli americani ci credessero veramente l’avrebbero già esportata in paesi amici come l’Egitto e tanti altri simili nell’area. Più onesto sarebbe dire che la democrazia, intesa come il nostro modo di vivere, si difende. Anche con le armi, se nel pianeta c’è qualcuno, i movimenti e il terrorismo islamisti, che la vogliono estirpare. Non solo da loro dove non c’è, ma anche da noi che siamo per loro “scandalo”.

Senza dire questo chiaramente, anche agli inglesi, perfino agli inglesi non importa nulla della guerra afghana, a nessuno di loro tranne Blair, per ragioni che nessun inglese riusciva a capire e che invece sono abbastanza evidenti e sono anche le stesse per cui Silvio Berlusconi ci si è infilato e Romano Prodi ha addirittura rilanciato con la spedizione libanese.

Potenze minori, come l’Italia e ormai anche la Gran Bretagna contano così poco, in un mondo così complesso e pieno di potenze sempre più emergenti, che hanno un solo modo per mantenere il posto al tavolo dei grandi, cercando la legittimazione dell’unica per ora superpotenza, gli Stati Uniti d’America. Berlusconi e Prodi avevano e hanno in più l’aggravante di contare sul consenso di solo metà della popolazione, al di là della maggioranza parlamentare frutto delle leggi elettorali.

C’è poco da fare, e Bossi lo sa bene, anche se puntare l’attenzione su questo tema è un intelligente modo per tenere sulla griglia il suo detestato alleato e ricordargli che, senza la Lega,  Lui finisce in braccio a qualche Procura.

C’è poco da fare e non c’è altro da fare che continuare nell’ingaggio, pur con i generali che danno spettacolo criticandosi pubblicamente e con il dolore per i nostri morti e l’ammirazione per l’eroismo di uno dei reparti che hanno scritto alcune tra le pagine più belle della storia militare d’Italia. Siamo uno strano paese: muoiono alcuni militari facendo il loro mestiere che è la guerra e subito tutti vogliamo mollare. Muoiono sulle strade di casa tanti di quei ragazzi in incidenti d’auto e moto da fare apparire le cronache del lunedì come bollettini di guerra e giriamo la testa dall’altra parte, senza indignarci per tanta gioventù sprecata, incapaci anche di invocare un rincaro di severità che lo impedisca. In Afghanistan si fa politica, questi so’ solo ragazzi, si divertono un po’, che ci vuoi fare?