Chrysler, Fiat, Opel/ Tensione in America, conclusione imminente, scadenza il 30 aprile

Pubblicato il 25 Aprile 2009 - 22:19| Aggiornato il 27 Aprile 2009 OLTRE 6 MESI FA

Ultime ore di negoziato, in vista della scadenza del 30 aprile posta dal presidente americano Barack Obama. C’è tensione tra Washington, New York, Detroit e Torino: un quadrilatero in cui si deve decidere il futuro della casa automobilistica Chrysler, se diventerà colonia italiana o resterà tutta americana.

Sul tavolo vengono gettati tutti i dubbi e i sospetti dei banchieri e dei grandi creditori Usa.

Dicono: l’unico rischio che corre Fiat è quello di mettere tecnologie e uomini in un’azienda, la Chrysler, che non ha nessun progetto di modello di auto in gestazione e una rete di concessionari esagerata per il numero di auto prodotte. Come scrive il Wall Street Journal, con tacitiana efficacia, «empty product pipeline and a bloated dealership network».

Non è certo un rischio da poco. Le avventure coloniali non sono mai andate bene agli italiani e l’America, come cantava Lucio Dalla, è lontana, è l’altra faccia della luna, dove, vale ricordarlo, stava per schiantarsi il colosso tedesco Daimler, cioè Mercedes. Il timore, per il lato italiano, è che se le cose non andranno bene, a pagare il prezzo saranno gli operai italiani, col loro costo orario che sarà, se tutte le richieste di Fiat passeranno, comunque la metà di quello dei colleghi americani.

In questo momento però non sono i problemi italiani a dominare la scena (anzi è apprezzabile il silenzio dei sindacati e il tifo che fa la sinistra), ma gli interessi americani. Queste le ultime posizioni.

I creditori, che vantano 6,9 miliardi di dollari, hanno ridotto le pretese a 3,75 miliardi. Hanno rinunciato alla richiesta di azioni privilegiate per un miliardo e anche alla pretesa che Fiat ci mettesse un miliardo di dollari di suo come capitale.

I creditori invece restano fermi nel volere, tra tutti, azioni pari al 40% del capitale.

Il governo americano, invece, è fermo sulle sue ultime posizioni: recupero di solo 1,5 miliardi di dollari dei debiti e un modesto 5% del capitale.

Intanto però ha rinunciato a 4 miliardi di dollari già prestati a Chrysler e ha convinto i sindacati a rinunciare a parte dei loro privilegi e vantaggi pensionistici (che sono garanti, non come in Italia, dallo Stato, ma dall’azienda e incidono sul costo del lavoro).

Fiat, che era partita chiedendo il 35%, dovrà accontentarsi del 20% del capitale: gratis, senza metterci un centesimo, solo con l’apporto delle proprie tecnologie. Già questo infastidisce gli americani, perché, la Fiat, dicono loro, non rischia nulla. In più, può giocare sui prezzi di trasferimento degli impianti e delle componenti.

Per questo i creditori americani chiedono speciali regole di governance, di poter nominare certe figure chiave del management e un controllo sui prezzi di trasferimento.

Complessivamente, è la tesi americana riportata dal Wall Street Journal, Fiat rischia poco o nulla, mentre le banche, il governo e i lavoratori americani rischiano miliardi di dollari se Chrysler, alla fine, comunque morirà.

Molti in America sono pessimisti. Dice un analista finanziario, intervistato dal giornale, che i sei miliardi di dollari di aiuto governativo, promessi se ci sarà l’accordo con Fiat, basteranno 18 mesi, il tempo per ripulire l’azienda, e renderla presentabile a nuovi finanziatori e investitori.

La partita è ora nel campo americano. Scrive ancora il Wall Street Journal che gli americani hanno bisogno della Fiat e che la Fiat ha poco bisogno di loro, e questo rende la posizione italiana molto forte.

E forse per rendere ancor più credibile la propria indifferenza Fiat ha aperto un altro tavolo, non si sa quanto formalmente, per l’acquisizione di Opel, la casa automobilistica tedesca anch’essa sull’orlo della bancarotta, sul destino della quale da mesi è aperto in Germania un dibattito tra governo e forze sociali.

Su questo si sono accese a cavallo del fine settimana, discussioni e polemiche tra Italia e Germania.