Contro le “quote rosa”, pura demagogia che nega il merito delle donne

di Bruno Tucci
Pubblicato il 26 Settembre 2009 - 00:06 OLTRE 6 MESI FA

Maschilismo addio? Forse, chissà? Dubbi e perplessità rimangono. E sono forti.

Certo, negli ultimi lustri, la situazione è cambiata: esiste il ministero delle pari opportunità, le “quote rosa” sono obbligatorie, le donne sono entrate di prepotenza a far parte delle forze armate, della polizia, dei carabinieri. Sono in magistratura. Ed anche in politica si sono fatti passi avanti. Pure se, rispetto al resto dell’Europa, l’Italia è ancora indietro.

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L’ultimo caso (lo avrete già letto) è quello della giunta provinciale di Taranto, azzerata da una sentenza del Tar perché i dieci componenti erano tutti maschietti. Che questa metamorfosi sia un bene è superfluo sottolinearlo. È logico: una società chiusa non guarda al di là del proprio naso. Ricordo, ad esempio, che quando incominciai a fare del giornalismo nel quotidiano che mi aveva assunto, Il Messaggero, c’era una sola gentile signora che lavorava insieme con centoventi maschietti. Si occupava di seguire il consiglio comunale a Roma e svolgeva le sue mansioni con grande profitto.

Oggi, per fortuna, è avvenuta una semirivoluzione nel mondo dell’informazione, se è vero, come è vero, che l’Unità è diretta da una donna e che alla guida dell’Espresso è stata chiamata da tempo una validissima giornalista. Non sono i soli esempi, ne potremmo citare altri: ricorderei i nomi di Maria Latella, di Angela Buttiglione e di Giuliana Del Bufalo. Sicuramente, il giornalismo è migliorato, perché la sensibilità femminile dà all’informazione un qualcosa di più che prima non aveva. Ma il discorso è più generale ed ha una valenza di enorme portata.

La politica discute spesso di percentuali femminili e il dibattito si infervora solo perché a destra e sinistra cercano di strumentalizzare il problema. Nel recente episodio di Taranto, la maggioranza è subito intervenuta stigmatizzando l’episodio per la semplice ragione che il presidente Gianni Florido, del pd, non aveva rispettato l’articolo 48 dello statuto della provincia. Mi sembra una polemica sterile. Continuando di questo passo, non si arriverà mai a trovare la quadratura del cerchio. Che vuol dire più semplicemente: onore alla professionalità ed alla meritocrazia. Sono, infatti, dell’avviso che l’on. Emma Bonino abbia ragione quando si dice contraria alle “quote rosa”.

Averle adottate per legge vuol significare, a mio avviso, una diminutio per le donne. Perché se vali, se, in un qualsiasi comparto della società, il tuo nome vuol significare qualcosa; se, insomma, il tuo lavoro fa progredire un partito, un’industria, un giornale, non è il pantalone o la gonnella ad essere determinante. Assegnare un certo numero di posti al gentil sesso (cinque, sei, dieci) perché così stabiliscono le norme o i regolamenti è uno sbaglio bello e buono. Se in una giunta regionale o addirittura in un governo centrale il presidente ritiene che venti signore hanno una maggiore competenza rispetto ai maschietti non si deve far guidare dalle “quote rosa” perché farebbe un gran danno a se stesso ed alla sua coalizione. Dovrebbe nominarle tutte e non lasciarsi travolgere da un regolamento che non tiene in considerazione il merito.

Può essere vero anche il contrario? Certo, a patto che chi deve scegliere non si comporti da macho, precipitando in un contesto sociale che non ci appartiene più e ci farebbe tornare indietro di almeno cinquant’anni.