Coronavirus, recessione in arrivo. Peggio del 2009? Indice mondiale PMI fa paura

ROMA – Coronavirus: e ora cosa accadrà? Gli economisti prevedono pessime conseguenze per l’economia mondiale.

Alcuni evocano il fantasma della recessione del 2009. Una grave recessione accettata come l’inevitabile prezzo che pagherà l’economia per rallentare la diffusione di Covid-19. Il 24 marzo sono arrivati alcuni dei primi ampi indicatori statistici sulla gravità della recessione nelle economie occidentali, segnalati mensilmente dal Purchasing Managers Index (PMI).

I numeri sono pessimi: fanno presagire una recessione che per gravità è pari, e probabilmente peggiore, a quella della crisi finanziaria del 2007-2009.

Gli indici PMI sono elaborati da sondaggi condotti su responsabili degli acquisti presso 400 aziende in ciascuno dei diversi paesi. Coprono la produzione, i servizi, l’edilizia e l’intera economia. Ai dirigenti vengono chieste una serie di informazioni: attività presenti e future, nuovi ordini, occupazione, tempi di consegna dei fornitori e altro ancora.

Forniscono dei parametri abbastanza buoni del PIL. Per ogni indice e sottoindice, il numero magico è 50: una cifra al di sopra ipotizza che l’attività è in aumento mentre al di sotto indica contrazione.

I numeri PMI di marzo si prevedevano terribili, come lo erano stati in Cina un mese prima. E lo erano, in particolare nell’eurozona, e soprattutto per i servizi, colpiti velocemente e duramente, come i viaggi, il turismo e i ristoranti.

Nell’eurozona, l’indice complessivo, o composito, da 51,6 di febbraio è precipitato a 31,4. Il più basso da quando, nel 1998, è stato creato l’indice.

L’indice dei servizi è crollato da 52,6 a 28,4, battendo il precedente terribile record di 39,2, stabilito nel febbraio 2009. Non è sfuggita la produzione, che nell’eurozona si stava già riducendo: l’indice è passato da 48,7 a 39,5.

In America, il calo è stato meno grave che in Europa: da 49,6 a 40,5. La produzione è passata da 50,7 a 49,2, il che implica solo una leggera contrazione.

Tuttavia, è comunque il calo più marcato dall’agosto 2009. E l’analisi conteneva anche prove del fatto che il covid-19 ha fermato la notevole corsa americana nella creazione di posti di lavoro. A febbraio il tasso di disoccupazione era sceso al 3,5%.

IHS Markit riferisce che le aziende hanno licenziato i lavoratori a un ritmo rapido, e non accadeva da dicembre 2009, in parte a causa del calo delle attività, poiché i clienti hanno sospeso gli ordini.

È difficile dire come questo si traduca in un calo del PIL. Chris Williamson, capo economista di IHS Markit, osserva che i numeri di marzo sono più o meno coerenti con un calo del PIL americano del 5%, a un tasso annualizzato, e circa il 2% su base trimestrale (ovvero ancora più veloce) nell’eurozona.

Ma con una caduta così brusca, estrapolare il nesso con la storia del passato è difficile. E marzo è solo l’inizio. Nel secondo trimestre, gli economisti già prevedono cali molto, molto più bruschi del PIL.

Fonte: Economist
 
 
 
 
 

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