Darfur/ Mamdani e gli attivisti criticano George Clooney e le star di Hollywood riunite in Save Darfur: beneficenza inutile

Alessandro Marchetti*
Pubblicato il 24 Giugno 2009 - 15:37 OLTRE 6 MESI FA

Può la beneficenza delle star hollywodiane essere in grado di risolvere la piaga del Darfur? E chi oggi può davvero incidere sull’esito della guerra civile? Se lo chiede John Farrell in un commento sul sito di informazione Usa Global Post. A cinque anni dal primo appello degli attivisti americani per un impegno più diretto delle star hollywodiane nel denunciare la guerra endemica nella regione del Sudan, il bilancio dell’associazione Save Darfur sembra poco entusiasmante e anche piuttosto magro per il futuro della onlus nata proprio attorno a divi del cinema come George Clooney, Matt Damon e Mia Farrow.

Per carità: in questi anni l’associazione delle star è cresciuta, spiega Farrell,  specie grazie a internet che ha permesso di “arruolare” sempre nuove celebrità e raggiungendo praticamente ogni cittadino americano, «dai candidati presidenziali agli studenti delle scuole elementari».

Tuttavia molti attivisti ne denunciano la totale inefficacia. Campagne di sensibilizzazione, raccolte fondi, happening di beneficenza hanno avuto «un successo spettacolare» ha affermato il direttore del Centro di studi africani Mahmood Mamdani, ma se qualcuno visita la regione oggi «troverà molto difficile scrivere sulla sabbia la parola Darfur accanto a quella di successo», sostiene l’attivista Rebecca Hamilton.

«Il movimento Save Darfur sembra essere vapore vacuo: è spaccato dal dibattito interno, ed è ignorato dall’amministrazione Obama» ha scritto di recente l’editorialista del New York Times Nicholas Kristof, che assieme all’attrice Angelina Jolie aveva denunciato giorni fa come la crisi in Darfur stesse nettamente uscendo dall’agenda politica.

Nell’impegno per una soluzione dell’immane conflitto fra i ribelli e l’esercito di Khartoum, Save Darfur sembra essere bocciato persino dal libro dello stesso Mamdani «Salvatori e superstiti: Darfur, politica e la guerra del terrore», in cui l’autore sostiene che la Save Darfur Coalition (SDC) non è un movimento pacifista ma bellicista. Il professore nel libro osserva che «(..)se il segno di riconoscimento del movimento contro la guerra in Vietnam era costituito dai teachin, per la SDC è la campagna pubblicitaria».  Per Mamdani Save Darfur sarebbe colpevole di una lunga lista di peccati fra cui l’imperialismo religioso e razziale, l’ignoranza storica e il falso sentimentalismo.

*(Scuola Superiore di Giornalismo Luiss)