Editoria/ Economist e Bild mosche bianche in mezzo alla crisi. Fatturato e copie in crescita per entrambi

Pubblicato il 14 Luglio 2009 - 14:41 OLTRE 6 MESI FA

Aveva lanciato la profezia sulla fine dei giornali. E ora è l’unico a gioire in mezzo alla crisi della stampa. L’Economist, che aveva previsto la fine della carta stampata per il 2043, ora si trova in una situazione economica ottima. Il bilancio chiuso il 31 marzo  2009 evidenziava un ricavo di 218 milioni di sterline, con un utile di 22 milioni. Ora, mesi dopo, le cifre sono ulteriormente cresciute: 313 milioni fatturati con un utile di 38.

Ha anche raddoppiato le copie diffuse  dieci anni fa, che ora arrivano alla cifra record di un milione e 400mila. Dietro il celebre marchio, c’è un’azienda editoriale organizzata su più prodotti: mensili specializzati, siti internet e anche il notiziario del Congresso americano, “Roll Call”. Il valore del gruppo nel suo insieme, valutato secondo il prezzo indicativo delle azioni, è di 500 milioni di sterline. La struttura societaria è particolare: i titoli sono di quattro categorie differenti. La prima è senza diritti patrimoniali, in mano ai soli “trustees”, la seconda, che costituisce le azioni ordinarie, non riconosce il diritto di voto. Poi ci sono due classi di titoli, A e B, in mano a una novantina di soci speciali e al gruppo del Financial Times.

Il motivo di tanta complessità societaria è dovuta alla volontà di non subire il pericolo di scalate dall’esterno, in modo tale da preservare l’autonomia del giornale in ogni caso.

Ma il “caso Economist” non è isolato in Europa. Anche la Bild, del gruppo tedesco Axel Springer, va benissimo. Con 3,3 milioni di copie giornaliere è in assoluto il leader continentale dei quotidiani. Ma il popolare giornale non è solo. All’interno del gruppo vanno forte anche Die Welt e i regionali di Amburgo e Berlino.