Elezioni: in tutta Europa i governi pagano dazio. Berlusconi no. Perché è invulnerabile, alla crisi, ai debiti, alla disoccupazione, a Noemi e perfino a Gino, l’ex fidanzato

Pubblicato il 31 Maggio 2009 - 13:37| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Domenica si vota in tutta Europa e quasi ogni governo europeo si attende  di subire un “danno” elettorale. Danno indiretto e direttamente neanche meritato, danno sicuro o quasi. Danno che viene dal semplice fatto di essere in carica, al comando al tempo della crisi. Infatti pagherà dazio in termini di consenso perduto il governo laburista di Brown, e quello di centro destra di Sarkozy, e la Democrazia Cristiana della Merkel e la socialdemocrazia tedesca che governano insieme a Berlino e il governo socialista di Zapatero. E anche in Grecia, Austria, Portogallo…Ovunque i governi saranno impropriamente più o meno puniti perchè le cose sul pianeta vanno male, ovunque in Europa gli elettori voteranno “con il portafoglio”, quindi con qualche lacrima da far pagare a qualcuno che governa, chiunque esso sia.

Ci si aspetta che succeda ovunque, con una sola grande eccezione: l’Italia. Dove invece ci si aspetta un premio elettorale al governo in carica e a Berlusconi: il 40 e passa per cento. Perchè succede o almeno perchè si aspetta questo evento come probabile? Perchè, come dice Berlusconi, “La crisi è di natura psicologica”. Berlusconi ha ragione, la sua frase risponde a realtà, ma nel senso e nel significato opposti a quelli che Berlusconi assegna alla sua affermazione e convinzione. Berlusconi dice che la crisi esiste più nella testa della gente che nei fatti. Al contrario, i fatti e le propensioni elettorali degli italiani dicono invece che nella testa degli italiani c’è molto meno di quanto non ci sia nella realtà.

Un deficit al 5 per cento del Pil, un Pil che scende del 5 per cento, un debito pubblico che viaggia verso il 120 per cento del Pil sono fatti. Ma appaiono fatti astratti e lontani, non spaventano e non preoccupano l’opinione pubblica. Anzi, nemmeno la interessano più di tanto. Si può capire: troppo poco immediato e faticoso tradurre queste cifre in un domani che pur verrà di nuova inflazione e nuove tasse.

Ma quale governo europeo uscirebbe indenne dal passaggio sulla graticola di un milione e ottocentomila lavoratori che nel 2009 rischiano il posto e che, se lo perdono, non hanno copertura, sostegno al reddito o, se ce l’hanno, non supera gli 800 euro al mese? Nessun governo, tranne quello italiano sfuggirebbe alle conseguenze di questo incontrovertibile fatto italiano. Eppure a questo fatto italiano Berlusconi appare invulnerabile. Ancora una volta, perchè?

La tesi del grande venditore, del grande imbonitore è comoda quanto stantia, diffusa quanto banale, spiega tutto spiegando e capendo nulla. Avviciniamoci al perchè: l’ultimo sondaggio di Mannheimer, pubblicato sul Corriere della Sera, vede un 85 per cento di italiani preoccupati e ansiosi per l’economia in generale, ma solo il 63 per cento preoccupato per se stesso, per la propria economia. Non solo, il 43 per cento afferma che, a suo giudizio e calcolo, la personale e familiare economia “resterà positiva, come prima”. E’ una confessione. Confessione di quel che sta scritto nelle cifre di Bankitalia: in Italia ci sono dieci milioni di famiglie “agiate”. Dieci milioni di famiglie fa 25/30 milioni di persone che hanno soldi e patrimoni per resistere alla crisi. Siamo allora più ricchi degli altri europei e per questo non c’è “rabbia da crisi” da riversare nel voto? Sì e no. O meglio, siamo dal punto di vista del reddito e della ricchezza, fatti in maniera un po’ diversa dal reto d’Europa: tra i 25 milioni che sono “agiati” e gli altri 25/30 milioni di italiani lo scalino è più alto, la curva dell’agiatezza non degrada dolcemente, precipita a scogliera. Accade dunque che la gran parte di chi è “agiato” non abbia interesse materiale a punire chi governa. Se le cose restano come stanno, questi “ce la fanno”. E infatti si organizzano: un calo del 5 per cento delle tasse pagate a fronte di un aumento dei consumi dell’uno e mezzo per cento si spiega solo con l’aumento di evasione ed elusione.

E l’altra mezza Italia, l’Italia a stipendio basso e incerto? Non vuole sentirsi raccontare che saranno dolori. E inftti nessuno glielo racconta: tra le due favole, quella del “tutto torna come prima, meglio di prima” e quella del ” ci pensa il sindacato e la sinistra”, comprensibilmente la gente preferisce la prima. Nella sua improbabilità è più realistica la narrazione berlusconiana. Almeno per un paese che, se potesse, dichiarerebbe fouri legge la verità istituendo il reato di “diffusione di notizie vere e quindi atte a turbare l’ordine pubblico”.

Sono decenni che gli italiani hanno imparato alla perfezione, per loro scelta e non per indottrinamento da tv, a rendersi impermeabili alla verità. Due esempi: la verità dei numeri è che gli stranieri pagano all’Italia in termini di contributi e tasse 20 miliardi di euro l’anno e ne incassano, sotto forma di servizi, la metà. Andate a raccontarlo all’Italia convinta che gli stranieri ci mangiano, quando non ci rubano, il pane.

Altro esempio, clamoroso: Gino Flaminio, l’ex fidanzato di Noemi scrive al Corriere della Sera e racconta. Racconta che tutto quel che ha detto a Repubblica, le telefonate di Berlusconi a Noemi, l’amicizia tra i due indipendente dal rapporto tra il premier e i genitori della ragazza, la vacanza in villa in Sardegna è tutto vero, nessuno gli ha estorto nulla nè è stato pagato per raccontare la verità. Poi Gino conclude che “la verità” è quella “dell’uomo del popolo, dell’uomo di tutta la gente” contro il quale lui, Gino è stato usato. Mentre conferma la verità di un uomo di 73 anni che cinguetta al telefono con una ragazza di 17, Gino questa verità ispida la cancella e sostituisce con quella dolce di Berlusconi “amico di tutti, degli chef, operai, dipendenti, mendicanti, poveri, insomma di tutti”. Ha preso paura Gino quando scrive “possibile che l’uomo del popolo non possa avere una vita privata?”. No, ha scelto come fa tutta la società italiana la verità meno scomoda e fastidiosa e proprio nel momento in cui è lui stesso a confermare i fatti dell’altra verità, quella più contundente.

Rifiuto della verità, costume nazionale. Anche nella “cultura” di sinistra. Piccolo e ultimo esempio: alla Reggia di Venaria un paio di dipendenti indossano il velo alla biglietteria. Una visitatrice se ne lamenta un po’ a sproposito. E cosa fa la “cultura” di sinistra? Tutte le colleghe e dipendenti indossano il velo. Dicono per solidarietà. Solidarietà ad un simbolo di sottomissione e familiare e sociale schiavitù della donna non ad una religione ma al maschio. Questa è la verità, ma la verità raccontata perchè comoda è quella della “solidarietà tra lavoratori”.

Il deficit di verità la gente italiana lo chiede, lo brama, lo esige. E lo scambia e lo premia con il voto. Da decenni nessuna pedagogia sociale e civile è stata arrischiata ed esercitata da chi ha governato. Non lo ha fatto la sinistra, non lo fa la destra. Nessuno qui ha fatto quel che fece la Thatcher e poi Blair o Mitterrand e che sta facendo Obama. Nessuno sarà punito nelle urne per non aver detto agli italiani che il mondo gli sta cambiando sotto i piedi. Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire.