Festival di Cinema di Venezia, secondo il Giornale è “una mostra troppo provinciale”

Pubblicato il 24 Agosto 2009 - 20:23 OLTRE 6 MESI FA

Il Festival del Cinema di Venezia è alle porte e già iniziano le prime polemiche. Il giornale si chiede se, a dieci giorni dalla Mostra, 22 titoli tricolori nelle diverse sezioni, 18 dei quali lungometraggi (e tra questi 4 in concorso), non siano troppi, «non siano un’esagerazione tutta italiana, un riflesso provinciale, un’imbarcata volta a soddisfare molte richieste e sopire qualche malumore».

Proprio l’anno scorso, di questi tempi, un denso articolo di Der Spiegel fece arrabbiare il direttore Marco Müller. Il settimanale tedesco reputava «troppo patriottica, piena di film italiani che comunque faranno fatica a conquistare il Leone d’oro», la sessantacinquesima edizione.

«Figurarsi la numero sessantasei, che sta per aprirsi all’insegna di Baarìa, il kolossal da 30 milioni di euro firmato da Giuseppe Tornatore», scrive sempre il Giornale.

Comunque, anche gli Stati Uniti, sono adeguatamente rappresentati, con ben 17 titoli, 6 dei quali in gara; solo quarta la Francia, e però con 4 film tutti i concorso. Ma certo resta il fatto che mai come quest’anno, l’Italia la fa da padrona al Lido.  I quattro in concorso sono, appunto, Baarìa di Tornatore, La doppia ora di Giuseppe Capotondi, Lo spazio bianco di Francesca Comencini, Il grande sogno di Michele Placido, più il resto della compagnia, nella quale spiccano, citando alla rinfusa, Io sono l’amore di Luca Guadagnino, Tris di donne & abiti nuziali di Vincenzo Terracciano, Le ombre rosse di Citto Maselli, Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli.

Il problema è che Venezia, così ardentemente agognata dai nostri registi, non sempre porta fortuna, anzi quasi mai. Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, ad esempio, fu un disastro di critica e un mezzo tonfo al botteghino.

E succede anche che molti dei film italiani “toppino” al box-office dopo la festa veneziana. Poi ci sono le eccezioni virtuose come “Pranzo di ferragosto” o “La ragazza del lago”, piaciuti alla critica e al pubblico, ma sono, appunto, mosche bianche.