Fine epoca

Pubblicato il 22 Luglio 2010 - 10:03 OLTRE 6 MESI FA

È un’Italia che pare una roccia stratificata. Che frana. Nel primo strato, della cronaca e della cronaca sociale, ci sono i giovani per i quali trovare un lavoro è sempre più difficile. Sono di ieri i dati del Cnel che ha presentato il “Rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010”. È il Paese che sappiamo, o che ci immaginiamo. E che solo una classe dirigente senza testa né responsabilità, a partire dal maggiore in grado, può fingere di ignorare. Il dato di italiani sotto i 25 anni con difficoltà triplicata nel trovare lavoro rispetto ai loro fratelli maggiori o ai loro genitori, come pure il dato sui contratti a termine polverizzati dalla crisi, sono evidenti e parlano da soli.

Nel secondo strato, quello dell’identità del singolo e della collettività, c’è un vero e proprio buco assai più profondo che negli altri Paesi europei. La crisi economica rimanda a una crisi culturale che la precede e la contiene. I mutui subprime, la bolla immobiliare Usa, la Caporetto delle banche e dell’economia di carta planetaria è di due anni fa. La recessione dell’alfabetizzazione, della scuola, dell’università, del settore di ricerca a ogni livello nell’ex Belpaese è antecedente. Semplicemente, non se ne parlava, come non se ne parla abbastanza oggi. La crisi di identità viene da lontano, da un consumismo generalizzato che è passato dal consumo delle merci al consumo dei comportamenti. Per attuarlo era necessario omologare il più possibile piallando via la diversità, ed era indispensabile a questo fine azzerare la memoria. È quello che è accaduto e accade ormai da anni. Termini come fascismo e comunismo, comunque e diversamente dentro il nostro Dna storico/personale, sono obsoleti, rimossi, considerati “di un’altra epoca”. È stato deciso che non ci si dovesse ricordare chi eravamo per poter consumare l’oggi, il noi stessi del presente, senza ritardi, orpelli, richiami del passato. Ma così facendo si è intaccata l’identità, che senza memoria non ha né motivo né possibilità di essere. In alcun modo. Non siamo più italiani, figli dei padri, ma siamo solo padri dei figli in un presente istantaneo che non contempla riflessioni su noi stessi, sullo stato (di crisi) della nostra identità: siamo diventati post-italiani in assenza di una matrice antropoculturale che ci facesse come siamo. Siamo nati da noi stessi, senza passato.

E se non ricordiamo chi eravamo sia pure per interposta generazione, come facciamo a sapere chi siamo, quale consapevolezza del nostro identikit di individui e di popolo possiamo alimentare? E senza sapere chi siamo, come è pensabile che ci si possa prefigurare un futuro, quale che sia, su ogni piano, un futuro auspicabile, augurabile, desiderabile o anche solo tangibile come direzione da imboccare? Non è possibile, certamente non per la collettività-Italia e mi pare anche piuttosto raro per il singolo: avviene solo per chi sappia costruire se stesso praticamente dal nulla, o nutrito nella personalità “culturale” da ciò che come Dna cocciutamente resiste ai feroci tentativi di azzeramento sistemico affinché non risulti un “fastidio” nel processo di consumo delle persone-merciPersone-merci anche nella loro versione elettorale. Non ci trattano forse da consumatori a cui vendere una merce in questa sub-democrazia aziendalistica in cui l’amministratore delegato pare oggi perdere qualche colpetto?
 
Il terzo strato è il più profondo verticalmente ma anche il più esteso orizzontalmente e forse non tocca soltanto la roccia-Italia ma tutta la catena montuosa del Vecchio Continente. Rimanendo a noi, è lo strato per cui chi non è giovanissimo (quindi biologicamente proiettato comunque verso il domani anche in una crisi d’identità senza precedenti) non riesce proprio a immaginare se stesso in prospettiva: c’è un sentore di fine epoca, di cose che cambiano delle quali non siamo i protagonisti avvenire bensì piuttosto gli epigoni stanchi. Gli ultimi, non i primi. Fine epoca, valori scomparsi, morale in rifacimento, “etica del viandante” che cambia quasi a ogni passo. Difficile orientarsi. Per tutti, credo. Ci vorrebbe un geologo…

da Il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2010

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