Hong Kong/ Armani chiede 600 mila euro di danni all’artista francese Aghirre Schwarz, in arte Zevs: l’uomo ha ibrattatato il palazzo del noto stilista milanese, ed ora rischia anche il processo

Pubblicato il 4 Agosto 2009 - 17:21 OLTRE 6 MESI FA

Si chiama Aghirre Schwarz, in arte Zevs, è un artista francese di 31 anni che insieme a due assistenti ha imbrattato con uno speciale adesivo a base di acqua il palazzo di Armani di Hong Kong, disegnando le due “C” di Chanel ribaltate. Ora, l’uomo rischia di pagare 600 mila euro di multa: la società di moda che fa capo al noto stilista italiano, ha infatti denunciato l’artista. La polizia di Hong Kong in attesa della prima udienza del processo ha ritirato il passaporto; Zevs non può quindi lasciare il paese.

Schwarz ha mandato una lettera direttamente alla sede di Milano per chiedere “clemenza”: l’artista non avendo usato bombolette ha dichiarato di aver usato tutte le precauzioni necessarie «affinché la pittura fosse removibile e potesse essere rapidamente tolta. Sono perciò in contatto con un’impresa specializzata in restauri di monumenti antichi. E secondo una loro valutazione è possibile ripulire il muro in 24 ore», sostiene Schwarz nella lettera, ma Armani al momento non vuole perdonare l’artista francese.

Per la sua liberazione si è anche mobilitato il padre dell’artista, che da Parigi è andato direttamente a Milano per essere ricevuto, senza successo, negli uffici del noto stilista: «Non mi ha ricevuto ancora nessuno. Ma io non perdo la speranza, certo, il periodo non aiuta, ma mio figlio rischia il carcere in un paese lontano. E molto diverso dall’Europa. Ha sbagliato, ma tutti abbiamo diritto a una seconda chance. Per questo mi rivolgo alla clemenza di un uomo importante».

L’ appello per aiutare Zevs è arrivato anche sul tavolo del ministro alla Cultura francese Frédéric Mitterand: intanto l’artista dice di stare bene ma di temere per la possibile condanna. Il processo inizierà il 14 agosto; Schwarz ha spiegato così il suo gesto: «La mia intenzione non era di danneggiare né lei né l’immagine della sua impresa. Bensì, il fine della mia azione, era di far riflettere il pubblico sul ruolo della libertà d’espressione nella nostra società consumistica».