Incubo, come diventa la nostra vita nel Comune di Roma: fare la carta di identità, aggiungere il nome della madre

di Antonello Piroso *
Pubblicato il 10 Ottobre 2021 - 20:43 OLTRE 6 MESI FA
Incubo, come diventa la nostra vita nel Comune di Roma: fare la carta di identità, aggiungere il nome della madre

Incubo, come diventa la nostra vita nel Comune di Roma: fare la carta di identità, aggiungere il nome della madre

Incubo, ecco un paio di esempi di come la burocrazia trasforma la nostra vita in un thriller. Li descrive Antonello Piroso in questo articolo sulla Verità.

Esterno giorno, ingresso di un Municipio di Roma. 

Addetto: “Che deve ffà?”. Signora: “Rinnovare la carta d’identità”.
“C’ha l’appuntamento?”.
“Sì, certo: ho prenotato sul sito. E non le dico la fatica per entrarci usando lo Spid (Sistema pubblico d’identità digitale, un’altra invenzione che avrebbe dovuto migliorarci la vita, nda), perchè il sistema non lo accettava”.
“C’ha la ricevuta?”.
“Perchè, a voi non risulta? Comunque sì, l’ho stampata, eccola”.
“Ora però me deve firma’ ‘sto fojo”.
“Cos’è?”.
“L’autocertificazione antiCovid”.

“Ho il greenpass, non serve?” “No, signo’, qui il greenpass non è obbligatorio”.

“Mi perdoni: io -doppiamente vaccinata e con greenpass regolamentare- per entrare in un ufficio pubblico mi devo autocertificare sana, mentre se entro al ristorante devo esibirlo?”
“Che je devo dì? E’ la legge. E poi, anche volenno, nun c’avemo er lettore”.
“Basta un’applicazione scaricata sul telefonino per controllarlo”.
“Signora mia, le cose nun le decido io. E comunque le chiacchiere stanno a zero, perchè intanto noi oggi non potemo fa’ gniente”.
“Cioè?!?”
“Nun c’avemo internet, semo scollegati, potemo solo rifa’ le tessere elettorali scadute. Però po’ lassa’ er numero, noi la richiamiamo e entro 2-3 giorni, massimo ‘na settimana, potrà ritorna’ “.
“Scusi…(s’inserisce un’altra donna, alzando educatamente la mano, nda)…ma io sono stata richiamata già due volte, internet non funziona mai. Mi sta dicendo che devo tornare di nuovo prendendo un altro permesso dal lavoro?”.

L’addetto allarga sconsolato le braccia, e io -in coda per richiedere la carta d’identità per mio figlio Romeo- mi allontano come fossi in un incubo

Benvenuti nella stagione del greenpass, dal 15 ottobre obbligatorio per il settore privato ma anche in parte per quello pubblico (Parlamento compreso). 
A scanso di equivoci: sono un vaccinista e un vaccinato, ho il greenpass e mi attengo alle regole, anche quando posso trovarle farraginose, confuse o stravaganti. Perchè “wrong or right, it’s my country”, giusto o sbagliato è il mio Paese. 

Ma qui ormai siamo a “quattro passi nel delirio”, dalle parti del Comma 22: lo Stato ti invita a vaccinarti anche perchè così hai l’indispensabile greenpass, salvo poi scoprire che per accedere ai suoi uffici è sufficiente l’autocertificazione. Non basta. 
Anche all’asilo di mio figlio mi viene richiesto il greenpass. Ogni giorno. Fino al capolavoro dell’altro ieri per cui, dopo averlo accompagnato, tornato a casa ho realizzato di non avergli messo nello zainetto il quaderno su cui disegna. 
Sono uscito di corsa per portarglielo (la scuola è a un quarto d’ora), ma dimenticando il telefonino su cui ho scaricato il mitico talismano. 

Incontro la stessa cortese signora di prima, che mi esorta: “Il greenpass, prego”. Un incubo

E qui mi sono sentito come Massimo Troisi in Non ci resta che piangere, con il doganiere che continua a chiedergli un fiorino. 
“Sono sempre il papà di Romeo, vengo tutti i giorni, ero qui mezz’ora fa”. 
“Ha ragione, ma è la legge. Io devo controllare il suo greenpass ogni volta. Metta poi che io la faccio entrare, e arriva un controllo, che facciamo?”. Giusto. Anche perchè -come si sa- nel nostro Paese i controllori, a cominciare dai navigator, abbondano.
Ho già raccontato per sommi capi la tormentata vicenda iniziata quando mia moglie ed io abbiamo deciso di aggiungere al cognome di Romeo quello della mamma. 

È necessario l’aggiornamento conclusivo di questa altra vicenda da incubo. 

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che nel novembre 2016 aveva dichiarato illegittime le norme che impediscono ai coniugi di dare -“di comune accordo”- alla creatura anche il cognome materno, in famiglia avevamo ritenuto che bastasse presentarsi all’anagrafe del comune, e, oplà, la variazione sarebbe stata cosa fatta. 
Sbagliato. 
Perchè c’era sì la pronuncia della Consulta, ma nessun regolamento d’esecuzione conseguente. 
Ergo, si doveva continuare a procedere come prima. Presentando, cioè, domanda al Prefetto. 
E’ iniziata così una soap opera durante circa tre anni (ma in mezzo c’è stato l’anno di Covid, tempo sospeso che ormai serve a giustificare qualsiasi ritardo o rinvio).
Alla fine, cioè all’inizio di quest’anno, la domanda è stata però finalmente accettata.
Faccenda chiusa? No.

Mia moglie ed io siamo dovuti tornare in Prefettura -dove si entra uno alla volta, per via del Covid, ma senza mostrare il greenpass- a firmare una dichiarazione congiunta. In cui giuravamo che nel frattempo la nostra volontà non era venuta meno. 

Ciò era necessario per far sì che la decisione del Prefetto venisse affissa all’albo pretorio onde consentire a qualcuno dissenziente (ma chi?) di farsi avanti ad eccepire. 
Trascorsi i 30 giorni, pensavamo la cosa fosse finita. 
Macchè. 
Perchè il decreto doveva tornare al Prefetto per la firma definitiva. 
Così siamo arrivati a fine agosto. 
Quando ci è stato comunicato che l’iter era stato perfezionato. 
Alleluja? Manco per niente. 
Perchè il decreto non viene trasmesso in via digitale con la rete intranet a tutte le amministrazioni pubbliche interessate. 

Noooo, troppo facile: gli uffici pubblici tra loro non si “parlano”. 

Il documento non viene neanche recapitato a casa (o per posta elettronica certificata, altra “rivoluzione” che doveva facilitare l’esistenza dei contribuenti). 
No: deve essere ritirato dai richiedenti. Che devono provvedere a farlo registrare in Comune.
Dove la cosa dovrebbe avvenire in automatico: io ti porto il cartiglio, tu annoti il cambiamento. No. 

Si deve presentare un’altra domanda per chiedere che il decreto (del prefetto, mica di pizza & fichi) sia trascritto. 

E così siamo arrivati ad ottobre. 
E voi volete ancora farmi credere che il greenpass e tutte le altre autorizzazioni ti allungano la salute e la vita, perchè burocrazia e infrastrutture sono evolutissime. E diventeranno “ancora più migliori” con i miliardi del Recovery Fund? 
È proprio vero: lo Stato ha delle ragioni che la ragione di un povero cittadino troppo spesso non capisce.

* da La Verità