Joele Leotta ucciso in Gran Bretagna. Alex Galbiati, amico del cuore, depone

di Alessandro Carlini
Pubblicato il 23 Aprile 2014 - 22:16 OLTRE 6 MESI FA
Joele Leotta, ucciso in Gran Bretagna. Alex Galbiati, amico del cuore, depone

Joele Leotta

MAIDSTONE (KENT) (ANSA) – Alex non si vede. E’ coperto da un paravento e una tendina, non può incrociare gli sguardi del pubblico e dei suoi genitori, venuti con lui in Inghilterra per stargli a fianco, e nemmeno quelli dei quattro imputati, i cittadini lituani accusati di averlo pestato a sangue e di aver ucciso uno dei suoi migliori amici, Joele Leotta.

E’ inziata oggi pomeriggio, 23 aprile, in un’aula della Maidstone Crown Court, in Kent, la deposizione di Alex Galbiati nel processo per l’omicidio Leotta.

Non senza fatica, il 20enne di Rogeno, in provincia di Lecco, ha iniziato a rievocare i fatti precedenti alla terribile notte del 20 ottobre scorso in cui lui e l’amico sono stati aggrediti.

Come spesso succede, “abbiamo trovato in Gran Bretagna un’opportunità di lavoro che in Italia non trovavamo”, ha spiegato Alex. E proprio Joele cercando su internet aveva scovato quel lavoretto dei sogni per un ventenne che, come tanti suoi coetanei, vuole andarsene all’estero per farsi qualche esperienza.

Come ha ricordato Galbiati, l’amico era riuscito a trovare nello stesso ristorante (il Vesuvius) una occupazione anche per lui, come lavapiatti. Sono partiti dalla provincia di Lecco per un’altra cittadina di provincia, Maidstone, in Inghilterra, lontana dalla caotica e movimentata Londra, sicuri di poter starsene tranquilli nel ridente Kent, ancor di più perchè il loro alloggio era sopra il locale in cui lavoravano. Ma non è andata così.

Galbiati ha ammesso infatti che fin dai primi giorni (i due erano arrivati il 14 ottobre) qualcosa in quell’edificio, dove diverse stanze venivano affittate a giovani europei – fra cui uno dei lituani imputati, Tomas Geleziniz (30 anni) – c’era qualcosa che non andava.

“Una sera un ragazzo ha cercato di aprire la porta di camera nostra e poi se ne è andato via”, ha detto il ventenne. Alex aveva sentito i passi lungo le scale e l’intruso prima aveva superato la porta del pianerottolo e poi tentato di entrare nella stanza dei due giovani. “Ho urlato e se ne è andato via”, ha aggiunto Alex.

Non era stato l’unico problema. Dal piano più alto dell’edificio (probabilmente quello di Geleziniz) una sera gli italiani avevano sentito arrivare musica ad altissimo volume fino a tardi. Non avevano protestato con nessuno. E quindi pare non avere fondamento l’ipotesi secondo cui il loro vicino lituano si fosse vendicato delle lamentele arrivate da loro.

L’audizione di Galbiati proseguirà giovedì 24 aprile e si protrarrà probabilmente per qualche giorno. Il punto cruciale riguarderà la notte in cui, secondo l’accusa, Geleziniz e i suoi tre amici, in preda all’alcol, si sono lasciati andare alla violenza più cieca.

Già oggi il giudice ha ricordato che saranno necessarie pause, soprattutto quando il testimone dovrà rievocare i terribili momenti del 20 ottobre in cui si è compiuto il pestaggio, le sue telefonate in preda al panico alla polizia e la fine di Joele. Sempre oggi sono stati mostrati alla giuria, prima del sopralluogo sulla scena del crimine, due video della polizia, che bene rappresentano la furia dell’aggressione. In uno si vede l’appartamento dei due giovani devastato e con macchie di sangue sulle pareti, anche lungo la ringhiera in legno delle scale. In un altro, che contiene le fotografie scattate ad Alex subito dopo il suo ricovero in ospedale, colpiscono le profonde ferite sul volto e sulla testa, e gli ematomi sparsi in tutto il corpo.