Le promesse di Berlusconi: Umberto Bossi e Veronica Lario hanno una cosa in comune

di Marco Benedetto
Pubblicato il 7 Agosto 2009 - 15:49| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Umberto Bossi, direbbe uno dei suoi elettori, a l’è nen fol, è tutt’altro che pazzo. Se ha imboccato il tormentone estivo delle bandiere regionali, del ritiro dall’Afghanistan, il dialetto obbligatorio a scuola si può essere certi che le motivazioni non sono solo quelle sempre valide di fare cose che alla sua base piacciono.

Proverei con una diversa spiegazione, paragonando Bossi a Miriam Bartolini – Veronica Lario, la seconda moglie di Silvio Berlusconi che ha scatenato il putiferio cominciato con Noemi Letizia e finito, almeno per ora, con Patrizia D’Addario.

Non è certo da credere che la Lario abbia combinato quel po’ po’ di guaio per fremito morale o compassione per il marito (“è malato”). Lo ha fatto per una ragione forse ancor più nobile, l’amore materno verso i suoi tre figli e la preoccupazione per il loro futuro, lasciato appeso a un filo dalle risposte evasive del marito. La cosa, un paio d’anni fa, l’aveva spinta a scrivere una lettera a Repubblica, che però era servita a ben poco. Da qui la bomba atomica delle minorenni.

Bossi è un buon papà per il suo partito e si preoccupa che il movimento e i suoi uomini abbiano un futuro oltre la sua esistenza terrena. Bossi è anche un duro negoziatore e uno che le cose non solo le dice ma le fa. Berlusconi ricorda benissimo lo sgambetto che gli fece Bossi nel 1994 e che li rese nemici per alcuni anni, fino a quando l’insipienza e lo snobismo dei capi della sinistra ha riconsegnato Bossi nelle braccia di Berlusconi.

Alla vigilia delle elezioni, quando aspirava a prendere il 40% dei voti solo con il Pdl, Berlusconi aveva promesso a Bossi la presidenza di due regioni, la Lombardia e il Veneto, il cui valore, simbolico e di potere, per la Lega è evidente a tutti.

Berlusconi però è anche uno di quelli, e ne ho conosciuti tanti, che hanno il vizietto di promettere,  già con l’intenzione di non voler mantenere. Molti ne conosco che hanno ricevuto da Berlusconi la promessa di un posto di Governo: le avesse mantenute, per alcune poltrone ministeriali o simili ci sarebbero i turni, come sui treni negli esodi.

Di regola uno con i piedi per terra non dà molto peso alle promesse. Se però gli interessi in ballo sono cospicui, come nel caso del patrimonio Berlusconi o la presidenza delle due regioni più ricche d’Italia, il rischio è che l’altro, esasperato , non segua più le regole del quieto vivere, sul cui rispetto il mentitore contava, e faccia saltare il tavolo.

Così è andata con Veronica, così rischia di andare con Bossi. Le sparate su tricolore, unità d’Italia, dialetti sono brontolii di tuono che preannunciano il temporale. C’è ancora un po’ di chiaro all’orizzonte: l’accusa ai servizi segreti di avere architettato l’intera vicenda Noemi e le lodi per come vanno i lavori in Abruzzo.

Berlusconi, d’altra parte, con Roberto Formigoni, presidente della Lombardia, può fare poco. Il pezzo di partito che fa capo a Formigoni è una potenza quasi militare, sta occupando, sistematicamente e inesorabilmente tutte le posizioni chiave, esercita un controllo quasi assoluto sulla sanità, fede e affari  cementano la lealtà della base.

Con Giancarlo Galan Berlusconi si è esposto, pubblicamente, poco dopo aver fatto la promessa a Bossi, garantendo che nessuno gli toglierà quel posto.  Difficile fare marcia indietro senza perdere la faccia davanti ai propri uomini e al proprio partito.

Se Bossi “a l’è nen fol”, Berlusconi “a l’è nen ciula” e sa benissimo che sarebbe un suicidio politico lasciare a un partito come la Lega il controllo di Lombardia e Veneto.

La Lega è un pezzo importante dello schieramento politico italiano e svolge nel profondo nord la stessa funzione svolta, in tempi diversi e su fronti opposti, da Rifondazione comunista e dal Msi: dare sbocco politico a pulsioni che altrimenti non si sa che strada avrebbero preso. Ne rivendica il merito, in una lettera alla Stampa, Roberto Cota, capogruppo della Lega alla Camera, e non si può non dargli ragione.

La Lega è anche un puntello importante del Governo Berlusconi, il quale, forse, quando ha fatto a Bossi quelle promesse, era davvero convinto di trionfare alle elezioni di giugno 2009.

Ma da qui a consegnare a Bossi la chiave della cassaforte, ci vorrebbe il genio politico di chi ha portato all’onore del mondo Antonio Di Pietro dandogli un seggio sicuro per il Senato in Toscana.

A questo punto può succedere di tutto. Sia Bossi sia Berlusconi hanno molto da perdere da una crisi. Questo spiega il fatto che Bossi si inventa punzecchiature più folkloristiche che serie e il fatto che Berlusconi fa finta di niente, come con  un amico che ha bevuto un po’  ti chiede in dono un’automobile da corsa.

Dato il calibro dei personaggi e la loro complessità, ci vorrebbe la penna di Emile Zola per raccontare quel che accadrà nelle prossime settimane e mesi. Certo la storia non finirà sulla ricostruzione dell’Abruzzo.