Magistrati, ANM: “Rivedere norme sul rientro in ruolo dopo mandato parlamentare”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Marzo 2018 - 18:46 OLTRE 6 MESI FA
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Magistrati, ANM: “Rivedere norme sul rientro in ruolo dopo mandano parlamentare”

ROMA – L’Associazione Nazionale Magistrati, a seguito del dibattito odierno sul tema “del ricollocamento in ruolo dei magistrati dopo il mandato parlamentare” richiama il precedente deliberato del CDC dell’ANM del 7 luglio 2017, secondo cui “il punto maggiormente critico è costituito dal ritorno nella giurisdizione del magistrato che sia stato candidato, abbia svolto un mandato in funzioni pubbliche elettive o abbia ricoperto incarichi di governo nazionale o locale, cosa che potrebbe comprometterne quantomeno l’immagine di imparzialità e terzietà”.

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L’Anm ribadisce la necessità che il legislatore disciplini con tempestività il rientro in ruolo dei magistrati e, in particolare, dei magistrati che siano stati candidati, abbiano svolto un mandato in funzioni pubbliche elettive o abbiano ricoperto incarichi di governo nazionale o locale, al fine di regolamentare in modo organico e completo, e secondo criteri certi e predeterminati, il loro ricollocamento, “in quanto l’imparzialità e la terzietà della Magistratura possono essere garantite solo attraverso il collocamento definitivo del magistrato fuori dall’esercizio della giurisdizione, con funzioni amministrative non dirigenziali, di magistrato addetto, che già la legge riserva in via esclusiva ai magistrati, e con esclusione della possibilità di accedere alla magistratura di legittimità o di fare ritorno all’ufficio di provenienza (cfr. art. 6 co. 2, lettera a) della proposta di legge)”.

Auspica, infine, che “i colleghi interessati – anticipando l’invocata riforma- si ispirino nelle loro aspettative a misura e spirito di servizio”.

Linee d’azione dell’ANM per la tutela della sicurezza e della salute dei magistrati

In via generale “le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo ..” (art.7, co. 1, secondo periodo d.lgs. 165/2001, come novellato dall’art.21 legge 183/2010).

Per benessere organizzativo si intende comunemente la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori per tutti i livelli e i ruoli. Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo.

Il concetto di benessere organizzativo si riferisce, quindi, al modo in cui le persone vivono la relazione con l’organizzazione in cui lavorano; tanto più una persona sente di appartenere all’organizzazione, perché ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, tanto più trova motivazione e significato nel suo lavoro.

Ebbene, esporre questi concetti – che sono giuridici e normativi – ai lavoratori del mondo della giustizia suona sarcastico, tale è lo stato di arretratezza, di abbandono e di inadeguatezza delle nostre strutture. È un fatto non solo e non tanto di mezzi o di risorse, ma di cultura. Basti pensare che, nonostante gli obblighi derivanti dalla disciplina generale (d. lgs. 81/2008 e 150/2009) e specifica (d. lgs. 33/2013) in tema di pubblicità delle misure per il benessere organizzativo, il sito del Ministero della giustizia è tra i pochi ad essere privo di relazioni in materia, se non per il settore penitenziario e limitate comunque ad anni addietro.

Non era perciò il caso d’intitolare al benessere organizzativo il questionario che nella primavera scorsa l’ANM ha diffuso tra i propri associati: l’abbiamo dedicato più prosaicamente, verrebbe da dire, alla sicurezza ed alla salute, consapevoli che l’ufficio giudiziario, il nostro ambiente di lavoro, è purtroppo vissuto come un luogo che concentra ostacoli e non mezzi per uno svolgimento sereno dell’attività professionale.

I risultati dell’indagine condotta tra tremila magistrati associati non sono stati dunque sorprendenti. Ma essi chiamano l’ANM, con l’urgenza dettata dai gravi episodi registratisi sino a pochi mesi fa in alcuni sedi, a chiedere senza più ammettere indugi gli interventi minimali per consentire ai magistrati di rendere il proprio servizio quotidiano senza essere esposti a rischi costanti per la salute e l’incolumità.

1. Prevenzione e protezione del magistrato.

– Fornitura di postazioni ergonomiche (sedie, fonte luminosa, microclima)

– Elenco delle dotazioni fornite dall’Amministrazione consegnato al magistrato con facoltà per lo stesso di chiederne l’integrazione o la sostituzione da eseguirsi in un termine minimo

– Visite periodiche oculistiche (per lavoratore videoterminalista) e muscoscheletriche (per lavoro sedentario)

2. Accesso agli uffici giudiziari.

– Monitoraggio della funzionalità dei sistemi di filtraggio meccanici e umani

3. Accesso alle aule d’udienza 

– Presenza costante di vigilanza nell’aula da subito prima a subito dopo l’udienza

in alternativa, per i luoghi diversi dall’aula nei quali venga celebrata l’udienza, vigilanza esterna e segnalatore di “avviso pericolo” attivabile dal magistrato e collegato con la vigilanza.

 4. Accesso alla stanza del magistrato

– Dotazione d’una porta antisfondamento fornita di chiusura dall’interno

– Telecamera (o spioncino) per identificare dall’esterno il visitatore

– Segnalatore di “avviso pericolo” attivabile dal magistrato e collegato con la vigilanza

In alternativa parziale all’interventi sub 4., considerato minimale,

5. Accesso alla “zona riservata” agli uffici dei magistrati   

– Accesso controllato con videocamera ed apertura della porta tramite badge in dotazione al personale interno o all’avvocato.