Marco Travaglio. Perché ha attaccato Francesco Merlo: “In fuga dalla piazza tv”

Pubblicato il 19 Ottobre 2014 - 10:54 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio. Perché ha attaccato Francesco Merlo: "In fuga dalla piazza tv"

Francesco Merlo. Su Repubblica ha definito l’uscita di Marco Travaglio in diretta dallo studio di Servizio Pubblico come una “fuga” dalla crisi dei talk show

ROMA – Marco Travaglio non ha gradito le sciabolate che Francesco Merlo gli ha inferto sabato 18 ottobre 2014 su Repubblica e ha risposto a tono sul Fatto di domenica 19 ottobre. L’articolo di Francesco Merlo più che un commento è un’invettiva, fin dal titolo:

“Travaglio in fuga dalla piazza tv”.

Lo svolgimento del tema, un po’ asciugato, è conseguente:

“Mancava solo lo scooter per illuminare la fuga di Marco Travaglio dallo studio di “Servizio Pubblico” con il lampo del déjà vu. È infatti scappato dalla trasmissione di Michele Santoro non uno dei tanti giornalisti che perdono lettori e spettatori.

Ma quel genere, quel mondo e quella lingua che erano già stati smascherati e cacciati a Genova.

Dunque il nerboruto Grillo che in strada urla «in Parlamento c’è la merda» ora si confonde con l’esile Travaglio che in tv urla «Burlando fa porcate».

E il Grillo che impreca «andate tutti affanculo» si affievolisce nel Travaglio che, agitando la mano sul viso, a sua volta impreca «siete tutti matti».

Anche quel «non capisco la contrapposizione con me» che Travaglio ha gridato al suo angelo del fango — Stefano si chiama — era solo l’eco impoverita del «ma perché ce l’avete con me? noi siamo dalla stessa parte» che Grillo aveva già gridato ai suoi angeli del fango.

E giovedì sera persino i ragazzi di studio sembravano uguali ai ragazzi di strada, al punto che, chissà, forse l’angelo qui è uno solo, quello che appunto «trova il senso alle cose».

Di sicuro Travaglio, che ai ragazzi aveva vociato «prendetevela con chi governa», se l’è filata in preda allo stesso malore dell’anima che avevamo visto sul viso di Grillo il quale, a sua volta svignandosela, aveva allo stesso modo replicato: «Mandate a spalare Renzi».

E che si tratti di un altro piccolo segno dello stesso passaggio d’epoca lo si capisce dal fallimento di share del “mi alzo e me ne vado” che una volta in tv drogava gli ascolti. […] Giovedì invece non ha evitato l’ennesimo flop di un programma ormai ridotto al 5 per cento, e forse ha spostato solo lo zero virgola.

[…]

L’uscita di scena non è stata né sgargiante né pittoresca. Travaglio era visibilmente sconfitto e mortificato, aveva subito per tutta la sera le sapienti esortazioni del padrone di casa: «Marco, ascolta, tutti abbiamo qualcosa da imparare». Ma l’altro si illividiva, da maramaldo, in cattiverie biografiche contro Burlando:

«Non ho nulla da imparare da uno che prende l’autostrada contro mano».

Nella squillante storia del pulp giornalismo, […], solo gli eccessi di Travaglio hanno permesso al tribuno della plebe, all’inventore della tv come patacca populista di vestirsi, nientemeno, da giornalista liberale:

«Marco, fallo rispondere. Non è giusto. Marco, non è giusto. Ha appena ricevuto delle critiche ed è giusto che possa replicare».

Ma nel lungo elenco delle coppie che si sono divise, Santoro e Travaglio non sono Mogol e Battisti e neppure D’Alema e Veltroni.

Il loro rapporto non è mai stato alla pari, non cadrà Bibò dove è caduto Bibì, non sono due protagonisti inseparabili. E infatti Santoro ha caricato sulle spalle di Travaglio l’intera storia della tv dell’insulto e si è tirato fuori con una lezioncina crociana, da maestro di verità, sintesi dei padri del giornalismo, da Montanelli a Scalfari:

«Ora basta. Non si insultano le persone. Sono trent’anni che faccio questo mestiere e finché vivrò ci sarà la possibilità per tutti di parlare… questo è un luogo di discussione».[…]

Ma Travaglio è il capolavoro di Santoro, televisivamente inventato da lui come Sgarbi fu inventato da Maurizio Costanzo, come Lorella Cuccarini da Pippo Baudo. E ha funzionato benissimo finché Santoro lo ha diretto nel ruolo di attor giovane, gli ha permesso di leggere la sua pungente letterina senza contraddittorio, senza esporlo mai, senza risposte da dare e senza domande da fare, e infatti non ne fece neppure a Berlusconi quando finalmente se lo trovò davanti.

Chiuso e dunque protetto nel recinto del monologo sprezzante, Travaglio era il momento militare, l’esibizione per sadici in panciolle del campione di batteria, un grande spettacolo di ferocia «il cui core business», gli disse Berlusconi, «sono io». […]

Come sappiamo, quella narrazione e quell’epica sono finite.

E senza più il nemico — dicono gli esperti — sta morendo il talk show come spettacolo. Santoro ha già annunziato che questa sarà l’ultima stagione di Servizio pubblico, ma intanto ha “liberato” Travaglio, lo ha spostato d’orario e lui l’ha presa come un castigo.

Ma il vero salto nel cerchio di fuoco è stato per lui il contraddittorio, il confronto, la dialettica. Travaglio infatti non controlla i suoi nervi e lo si era già visto con Alessandro Sallusti e con Clemente Mastella.

Più volte Santoro era riuscito a calmarlo: «Buono, stai buono ».

Finché, giovedì sera, Travaglio ha deciso di andarsene. È vero che la sua crisi è quella del populismo grillino di cui è un surrogato culturale. Ma c’è anche la crisi dell’attor giovane che più si arrabbia e più diventa simile al personaggio inventato da Santoro, più se ne allontana e più gli si avvicina. Scappando si è consegnato al suo autore”.