Napolitano e Berlusconi: due democrazie, due linguaggi

di Lucio Fero
Pubblicato il 23 Aprile 2009 - 14:24| Aggiornato il 16 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Due presidenti, due democrazie, due linguaggi. Il capo dello Stato parla con chiarezza, con precisione, con rigore logico. Niente “politichese”, affermazioni dirette e concrete. Ma “parla in latino“, una lingua madre eppur morta. Una lingua razionale, eppur ai più incomprensibile. Una lingua esatta come la matematica, giusta come la geometria, eppure una lingua non parlata.

Dice Napolitano che la democrazia è che nessuno abbia un potere che un altro potere non possa controllare e fermare. Dice Napolitano che la bilancia, l’equilibrio dei poteri e il reciproco limite non sono un peso, una zavorra della democrazia, sono invece la democrazia che altrimenti sfuma, evapora, svanisce. La storia dei popoli e la storia delle dottrine politiche concordano con Napolitano: la democrazia parlamentare, liberale e borghese nasce e si sviluppa intorno alla divisione dei poteri.

Silvio Berlusconi parla invece altra lingua. Immaginifica, emotiva, allusiva e suggestiva. Una lingua imperfetta e imprecisa, tanto ammiccante e sorridente quanto culturalmente ibrida. Dice Berlusconi che democrazia è il popolo che vota e sceglie e poi il leader che esegue, decide e realizza. In mezzo niente o meglio: meno c’è in mezzo e meglio è. Dice che i controlli sono vincoli, vincoli che fanno male all’azione di governo e quindi agli interessi della gente. Dice che la vera democrazia è quella del votare che spetta agli elettori e quella del fare che spetta al leader. Nel resto, in quel che di altro c’è si annida la cattiva politica.

Non è quella di Berlusconi democrazia liberale, parlamentare e neanche borghese. È una miscela di democrazia diretta, cesarismo, assemblearismo e tecno-democrazia. Non certo dittatura e neanche necessariamente autoritarismo. La differenza è che la democrazia, classica e da manuale di Napolitano, presuppone dei cittadini, cioè dei soggetti di diritto che cittadini sono in quanto portatori di diritti e doveri. La democrazia di Berlusconi presuppone invece un popolo, cioè una somma di portatori di bisogni e interessi.

Come detto, è il “latino” la lingua esatta. Ma l’altra è la lingua parlata. Non ci sono dubbi su quale sia il “giusto” parlare, non c’è dubbio su quale sia la lingua che risulta vincente: l’altra.